L’avvocato e il web 2.0. Identità digitale, reputazione online e deontologia

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Come si è passati dal discutere di Avvocato in Costituzione all’Avvocato su Amazon?

Nuovi strumenti di comunicazione a disposizione dei professionisti tra libera informazione, effetti distorsivi e deontologia nell’era del web 2.0.

 

Le professioni al tempo del Web 2.0 e nuovi strumenti.

L’evoluzione tecnologica genera inevitabilmente cambiamenti nella società, nello stile di vita, nei fabbisogni e nelle aspettative dei singoli individui; non a caso, uno degli ambiti ad essere maggiormente impattato dallo sviluppo tecnologico -e quindi dall’evoluzione sociale- è proprio quello delle professioni.

Il mondo del web, oltre ad aver creato nuove professioni, ha richiesto l’aggiornamento e una rilettura in chiave moderna di quelle tradizionali. Ai professionisti di oggi è richiesto, infatti, sempre più: di essere al passo con i tempi; di interpretare le nuove esigenze nonché i nuovi scenari in cui operano quotidianamente; di essere in grado di utilizzare gli strumenti dell’Internet e dell’informatica per ottimizzare i risultati del proprio lavoro.

Esercitare la professione di avvocato oggi non è come lo era fino a poco più di un decennio fa; è infatti richiesto uno sforzo in termini di aggiornamento e approfondimenti costanti a tutti gli avvocati, non solo ai cosiddetti tech lawyer[1].

La portata innovativa della professione del legale afferisce ogni ramo del diritto in quanto il diritto dell’informatica e l’informatica giuridica interessano trasversalmente tutti gli altri ambiti giuridici. Gli avvocati hanno dovuto imparare a destreggiarsi nei meandri del processo civile telematico, ad affrontare i nuovi reati informatici e/o realizzati a mezzo di strumenti informatici, a difendere i diritti e le libertà delle persone che nel c.d. cyberspazio assumono una portata sempre più ampia e difficilmente tutelabile. Si pensi al diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati personali, ma anche alla diffamazione online, alla libertà di cronaca, al diritto all’oblio, alle fake news, alla disinformazione, all’intelligenza artificiale, alla blockchain, agli smart contract, al machine learning. Tutti questi argomenti, altamente innovativi ed attuali, hanno richiesto uno sforzo interpretativo e risolutivo da parte di tutti gli operatori del diritto (avvocati, ma anche legislatori, giudici, giuristi d’impresa). Questo perché tutto ciò che è nuovo ed è in continua evoluzione necessita di essere compreso e regolato affinché non deragli, ma sia sempre ricondotto a criteri di misura, ragionevolezza, a beneficio del genere umano e della società in cui viviamo.

L’innovazione impatta sul mondo professionale degli avvocati, non solo dal punto di vista dei contenuti, ma anche dei mezzi. I potenti strumenti che la tecnologia mette a disposizione degli utenti di Internet possono essere utilizzati dagli avvocati -così come dagli altri professionisti e dalle aziende- al fine di perseguire strategie di marketing e comunicazione, nonché di aumentare l’efficienza e l’operatività del lavoro svolto.

È cresciuto, infatti, l’interesse per i social network da parte degli avvocati, utilizzati per sfruttare le potenzialità del web marketing e per sviluppare nuove relazioni/promuovere i servizi dello Studio. Tale obiettivo ha portato all’aumento del numero di siti Internet di studi legali e professionali in genere. Infatti, per gli avvocati ad inizio carriera il sito web rappresenta un potentissimo metodo per farsi conoscere da nuovi clienti e per espandere il proprio bacino di utenza mentre, per i professionisti già affermati, tale strumento può rappresentare un mezzo di fidelizzazione dei propri clienti teso a mantenere i contatti e a creare un network di relazioni esteso e solido.

È pertinente e interessante richiamare l’attenzione sulla nuova mossa di Amazon, colosso dell’e-commerce, che da qualche settimana ha messo a disposizione sulla propria piattaforma anche l’acquisto di consulenza legale. Il prodotto offerto si chiama “Amazon Ip Accelerator” ed è rivolto in particolare alle aziende, in quanto ne agevola il contatto con una rete di studi legali che forniscono consulenza e assistenza nella registrazione e protezione di marchi e brevetti, tra l’altro, a tariffe molto competitive. Naturalmente è possibile recensire lo studio online e assegnare le stelle, così come accade anche su Google. Per ora il servizio è attivo solo in America, ma Amazon si rende disponibile ad estendere l’offerta ad altri Paesi ed entrare in contatto con studi legale di altre nazionalità.

L’assistenza legale diventa così una commodity, da offrire ai venditori per migliorare la loro “vendor experience”. Una simile iniziativa potrebbe portare allo svilimento e alla denaturazione della consulenza legale in quanto il professionista diventerebbe un prodotto, alla pari di qualunque altra merce venduta sulla piattaforma di e-commerce; al contempo tuttavia potrebbe trasformarsi per il professionista in un’ulteriore opportunità di crescita e cambiamento offerta dall’innovazione.

 

L’identità digitale e la reputazione online.

Per ogni avvocato, dunque, risulta fondamentale riuscire a creare una propria valida identità digitale nonché una reputazione online positiva ed influente.

Al giorno d’oggi ognuno di noi possiede un proprio profilo digitale sul web, costruito attraverso le varie informazioni che il web stesso recepisce su di noi: i social network sono il principale mezzo che ci consente di creare una nostra identità digitale.

Sono sempre più frequenti, allo stesso tempo, i casi in cui la nostra reputazione online non coincide con la realtà e molte persone si attivano per ottenere la cancellazione di informazioni che li riguardano in quanto non aggiornate e/o non veritiere, inficianti sulla loro vita e reputazione personale e/o professionale negativamente.

Se si pensa, poi, che in Paesi come la Cina è prevista l’attribuzione ai cittadini di un “punteggio social” al fine di valutare la concessione o meno di determinati servizi in loro favore, ben si comprende come sia di fondamentale importanza -per ogni individuo/professionista- mantenere una reputazione online stabile, positiva e rassicurante.

 

La libera informazione e le disposizioni del Codice deontologico forense.

Alla luce di quanto esposto supra, emerge con evidenza il profondo e complesso impatto che Internet ed i connessi strumenti di comunicazione hanno prodotto -e producono- nella quotidianità di tutti gli individui.

Tra questi, come già illustrato, non sono esclusi i professionisti, che -grazie alla Rete- godono oggi della possibilità di presentare i propri prodotti e/o servizi (e di veicolare le relative informazioni) ad un pubblico molto più vasto e ad un costo (relativamente) molto più esiguo rispetto ai mezzi tradizionali.

La figura dell’avvocato, come già illustrato, non è rimasta estranea ai nuovi scenari proposti dalla c.d. Società dell’Informazione e non pochi tra questi -in maniera diretta o velata- hanno creato in Rete il proprio alter ego digitale, attraverso la cura di siti Internet “vetrina” con cui fornire, a potenziali clienti, informazioni più o meno dettagliate sulle attività svolte e/o sui settori di specializzazione.

Sin dal 2014 (si badi bene che nell’era digitale anche pochi mesi possono equivalere ad ere geologiche!), il Consiglio Nazionale Forense ha approvato il Codice Deontologico, che affronta anche i temi relativi all’informazione.

Tale Codice contiene l’art. 35 (oggetto di modifica nel 2016, rubricato “Dovere di corretta informazione”) che fornisce importanti linee guida e spunti di riflessione; in particolare il comma I afferma che “L’avvocato che dà informazioni sulla propria attività professionale … deve rispettare i doveri di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza …” e, dunque, sebbene l’avvocato possa legittimamente avvalersi dei nuovi strumenti al pari degli altri professionisti, è chiamato al rispetto di stringenti doveri connessi alla fondamentale attività svolta.

L’avvocato, inoltre, nel fornire le informazioni di cui sopra, non può farlo attraverso “informazioni comparative con altri professionisti (nè queste possono essere) equivoche, ingannevoli, denigratorie, suggestive” o contenenti riferimenti a titoli/funzioni/incarichi non inerenti all’attività forense.

Infine, alla luce delle dinamiche pubblicitarie e di marketing -che fanno generalmente leva sulle valutazioni e le recensioni dei clienti/consumatori-, deve evidenziarsi che l’avvocato non può farsi pubblicità “fregiandosi” di suoi clienti “rilevanti”, laddove il comma 8 dell’art. 35 dispone che “Nelle informazioni al pubblico l’avvocato non deve indicare il nominativo dei propri clienti o parti assistite, ancorché questi vi consentano”.

In conclusione di quanto appena detto, risulta necessario citare le sanzioni previste dal Codice per la violazione di tali prescrizioni di ordine deontologico; in particolare, infatti, da una sanzione attenuata (i.e. Avvertimento), può giungersi -nei casi più critici- alla sanzione edittale (i.e. Censura) ed a quella aggravata (i.e. Sospensione fino ad un anno).

 

… possibili effetti distorsivi.

Nonostante le richiamate previsioni di ordine deontologico vincolino l’avvocato -diversamente da altre libere professioni- ad un uso corretto e virtuoso degli strumenti di comunicazione elettronica, questi ultimi strumenti potrebbero costituire anche un pericolo per lo stesso.

Infatti, alla luce del fenomeno del digital divide, non tutti gli avvocati hanno aggiornato le proprie competenze in ambito informatico e solo una parte di questi è riuscita ad essere presente online, non essendo, tra l’altro, tutti “nativi digitali”. Tale fenomeno produce possibili effetti negativi laddove nell’era digitale è possibile affermare -forse con estrema cinicità- che “se non sei (raggiungibile) online non esisti”.

Tenuto conto di quanto appena affermato e del fatto che il “passaparola” rappresenta ancora strumento di efficace pubblicità delle capacità e qualità di un professionista, ben potrebbe accadere, invece, che un’avversa ed organizzata “rappresaglia online” tesa a screditare in Rete un professionista-concorrente con false informazioni e/o recensioni, possa produrre effetti pregiudizievoli e duraturi ai danni di quest’ultimo.

A tal riguardo si segnala la recentissima pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 3 ottobre 2019[2] [3] afferente a un caso analogo (nel caso di specie la danneggiata è un’esponente politica del partito austriaco «die Grünen»).

A seguito della pubblicazione di articoli e link in Rete (più specificamente su Facebook) dichiarati illeciti perché lesivi della reputazione della danneggiata, la Corte ha dichiarato, tra l’altro, che la direttiva n. 2000/31[4] non osta a che un giudice di uno Stato membro possa ordinare a un prestatore di servizi di hosting (id est Facebook) di rimuovere le informazioni da esso memorizzate di identico contenuto rispetto ad altra informazione già precedentemente dichiarata illecita (poiché ingiustamente lesiva della reputazione di un soggetto e/o di un professionista), o di bloccare l’accesso alle medesime informazioni, qualunque sia l’autore della richiesta di memorizzazione delle stesse.

Il web2.0: strumento del futuro o elemento negativo?

Non può darsi aprioristico riscontro a tale quesito: Internet è un semplice strumento nelle mani degli utenti/professionisti e solo questi scelgono se adoperarlo più o meno virtuosamente.

Non può che valutarsi positivamente la possibilità di creazione di siti Internet c.d. “vetrina” in grado di presentare in maniera veritiera e trasparente l’attività e le competenze di un avvocato, soprattutto laddove l’attività di quest’ultimo riguardi uno specifico ramo del diritto.

Crea, invece, una lieve (ma non trascurabile) sensazione di sconforto la diffusa tendenza a sfruttare il Web come invadente canale pubblicitario attraverso cui offrire i propri servizi a fronte di compensi irrisori se non addirittura inesistenti (sic!).

Detta tendenza, che può solo valutarsi negativamente, è emersa laddove –è cronaca di questi giorni– presunti portali di diritto hanno proposto -e stanno proponendo- la sponsorizzazione a pagamento sulle proprie pagine Internet agli avvocati, dopo aver estrapolato illecitamente i recapiti di questi ultimi dalle banche dati pubbliche.

Ma v’è di più!

Oltre a sostenere le spese per la sponsorship online, l’avvocato sarebbe tenuto a garantire una consulenza giuridica gratuita per il portale.

In primis et ante omnia, risulta di palmare evidenza come il sito del CNF renda disponibili online i recapiti degli avvocati e dei praticanti non per consentire a soggetti di carpire -con il minimo sforzo ed in violazione dei principi posti a tutela della del trattamento e della protezione dei dati stessi- i dati ivi pubblicati (che hanno un valore, anche economico!).

Inoltre, tralasciando le soggettive convinzioni circa l’opportunità di aderire a tale tipo di accordi commerciali, proporre (nonché accettare di fornire) gratuitamente una consulenza di natura segnatamente tecnica si pone in lapalissiano contrasto, oltre che con i dettami del Codice deontologico forense, anche con le vigenti disposizioni sull’equo compenso.

Ebbene, una prestazione gratuita risulterebbe non soltanto contra legem  ma anche di scarso valore tecnico-giuridico, atteso che, ai sensi dell’art. 13-bis della L. n. 247/2012 (rubricato “Equo compenso e clausole vessatorie”), il compenso si considera equo quando “risulta proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, e conforme ai parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell’articolo 13, comma 6”.

Pertanto, può serenamente presumersi che dietro una prestazione pagata zero la quantità e la qualità del lavoro alla stessa sotteso sia da valutarsi parimenti.

 

In conclusione:

Il web e gli strumenti elettronici rappresentano per l’avvocato un elemento -non trascurabile e di grande impatto sulla professione- che va rivoluzionando il suo tradizionale inquadramento; tale cambiamento non può -e non deve- altresì essere vissuto con disinteresse (o addirittura con ostilità), ma deve considerarsi un’opportunità di crescita professionale e di “re-ingegnerizzazione” dell’attività forense.

I possibili effetti distorsivi possono essere neutralizzati da un’adeguata formazione e da un approccio deontologicamente corretto e virtuoso, rivolto

alla creazione/condivisone di informazioni di valore, nonché

a scongiurare le più aberranti tendenze (di cui alla narrativa).

In altre parole, le possibilità offerte dal Web2.0 non possono che essere sfruttate al fine di aumentare i propri guadagni offrendo servizi professionali sempre migliori e ad un pubblico sempre più vasto e non, tristemente, svendendo la propria professionalità al primo offerente.

Infine, risulta evidente come solo un -più volte richiamato- approccio virtuoso ai nuovi strumenti di informazione possa esaltare tutti i potenziali benefici offerti da Internet, alla luce dell’ormai pacifico assunto (confermato dalla recente giurisprudenza) che un uso scorretto e/o illecito di detti nuovi strumenti comunicativi non è privo di conseguenze, sia legali che disciplinari.

Giulio Riccio e Rosanna Celella

 

[1] Giuristi specializzati in diritto delle nuove tecnologie, della protezione dei dati personali, del diritto industriale e dell’innovazione o altri ambiti affini.

[2] https://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2019-10/cp190128it.pdf

[3]http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf;jsessionid=81E9E14D40B9350E929E7BB254F52FF0?text=&docid=218621&pageIndex=0&doclang=it&mode=req&dir=&occ=first&part=1&cid=5351797

[4] Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2000 relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (c.d. “Direttiva sul commercio elettronico”).

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