App Immuni: primi problemi applicativi

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Un recente episodio accaduto a Bari, ha sollevato dubbi sull’attendibilità dell’App Immuni.

L’App Immuni è una app pensata per combattere le epidemie. Consente, infatti, di ricostruire i contatti fra le persone – anche incontri casuali – avvenuti nel recente passato. Se tra gli iscritti all’app, qualcuno dovesse risultare positivo al virus, la stessa permetterà di intervenire subito, minimizzando la diffusione. In particolare, a seguito di un test positivo, le autorità sanitarie potranno usarla per inviare un’allerta a chiunque abbia incontrato quella persona – ritenuta contagiata – per evitare potenziali circostanze di pericolo.

Apparentemente, l’App Immuni sembra essere progettata in modo tale da essere esente da errori, però, nella vita pratica, si è avuto modo di constatare che l’attendibilità della stessa non è massima. In tal senso, è opportuno ricordare lo spiacevole episodio successo a Bari, in data 20 giugno 2020, che ha visto protagonista una signora di 63 anni, che segnalata da «Immuni», è stata costretta a sottoporsi alla quarantena forzata, per un presunto contatto con un soggetto positivo al Covid-19.

La signora – racconta – si era recata al mare osservando il distanziamento interpersonale. In serata, insieme al marito, erano a cena con parenti, sempre osservando le norme di sicurezza, a partire dall’uso delle mascherine nei casi previsti. L’indomani, la signora era stata un’oretta al mare, in un punto di litorale non affollato, in compagnia di sua cugina, prima di lasciare la villa e rientrare a casa, in città, per il pranzo. Nel pomeriggio la sorpresa. L’applicazione le invia un segnale di allerta, con un codice da comunicare al medico di base, che il giorno seguente avvisa la Asl. Il martedì pomeriggio, attraverso una e-mail ed una telefonata del Dipartimento di prevenzione, scattano i «domiciliari» per 15 giorni. Tutto questo poiché, secondo l’algoritmo elaborato dall’App, la protagonista dell’incresciosa vicenda, sarebbe stata a contatto con potenziali contagiato, ragion per cui quest’ultima protestava vivacemente con l’operatrice della Asl. Chiedeva di poter provare la sua negatività con il test sierologico o con un tampone e la risposta dell’operatrice era sempre negativa. Ma come fa a essere sicura di non essere stata contagiata? «È impossibile – garantisce – e per una serie di ragioni oggettive». Quali? «Va premesso che la app segnala i «potenziali» contatti a rischio coi quali si è stati a distanza ravvicinata per 15 minuti nelle 24 ore precedenti all’invio dell’allerta. La signora, però, ribadiva di ad aver rispettato il distanziamento sociale ed aver utilizzato i dispositivi di protezione e osservato le norme di igiene.

Ciò che desta meraviglia è rappresentato dalla seguente circostanza, ovvero che il bollettino della Regione, sia nella giornata di venerdì 19 giugno che nella giornata di sabato 20 giugno, segnalava zero casi in provincia di Bari, ragion per cui il contagio sarebbe stato impossibile.

Tale episodio ha contribuito – ancor più – ad alimentare i dubbi sull’attendibilità dell’App.

Effettuando delle ricerche, si è appreso che il problema dei falsi positivi è già emerso e gli sviluppatori della app sono al lavoro alle soluzioni. Nel frattempo, c’è chi resta vittima dell’algoritmo impazzito della app. «Non riesco a tollerare questa limitazione della libertà – si sfoga la signora – pensavo di vivere in uno Stato democratico non in Corea del Nord. Sono agli arresti, ma senza aver avuto nemmeno diritto a un regolare processo. Anche se sto benissimo, andrò a fare il tampone privatamente, visto che il servizio sanitario pubblico me lo nega. Eppure dalla Regione sento ripetere che la gestione dell’emergenza è stata ed è fantastica. Che i casi di contagio sono a zero, che la app Immuni non ne ha segnalato nessuno. E il mio caso allora?».

Ad oggi, sembra evidente che l’utilizzo di tale App, palesa delle incognite che, considerata la gravità del momento, dovrebbero essere risolte celermente.

La prima insidia riscontrata è di natura normativa, poiché L’App per funzionare deve (o dovrebbe) interagire con i sistemi normativi ed organizzativi di altre amministrazioni, oltre a quella che ha gestito il processo di creazione dell’app, ovvero il ministero dell’Innovazione. Tutto questo, oggi, non avviene. Il difetto di coordinamento tra la fase dell’alert, nonché il sistema sanitario ed il meccanismo di caricamento sulle diverse infrastrutture tecnologiche coinvolte appare francamente incomprensibile dal momento che, come riferito anche dal ministro Paola Pisano (ministro per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione nel Governo Conte II) i lavori successivi alla scelta dell’app, per un periodo superiore a due mesi, sono stati seguiti da un gruppo di lavoro interministeriale all’interno del quale queste problematiche sarebbero dovuto emergere.

Il secondo problema riguarda la poca chiarezza dei DPCM circa l’obbligo di utilizzo della suddetta app, in quanto per i singoli soggetti non vi è un dovere – ex lege – che prevede l’uso della stessa bensì è concessa una mera discrezionalità. Tale assunto assume particolare rilevanza in quanto, per contribuire ad una elevata funzione dell’app, è necessario – secondo il parere degli esperti – che almeno il 60 % della popolazione scarichi ed utilizzi la stessa.

Alla luce di quanto rappresentato, è innegabile che in uno stato di pandemia attuale – come affermato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) – l’utilizzo di una App pensata per combattere le epidemie è, senza alcun dubbio, uno strumento che può contribuire a ridurre, sensibilmente, il numero di potenziali contagi. Tuttavia, considerata la cospicua portata dell’app – poiché chi riceve l’alert è qualificato, dalle norme sanitarie, come soggetto che è stato a contatto con un infetto e come tale viene sottoposto all’obbligo della quarantena per la durata di 14 giorni successivi all’ultima esposizione, che l’app segnala – sarebbe opportuno, soprattutto in vista di una eventuale “ricaduta” paventata – dai virologi – nel periodo autunnale, che l’App venga ottimizzata, tramite costanti aggiornamenti, così da ridurre maggiormente la possibilità di commettere errori, come nel sovra citato episodio accaduto a Bari, invogliando, in questo modo, le collettività ad utilizzarla.

 

Dario Barrella.

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