In Australia i primi passi per un web più equo: approvata legge che impone a Facebook e Google di pagare le news

Condividi

In questi giorni è stato affrontato un tema particolarmente rilevante, specialmente alla luce del ruolo assunto dai gatekeeper come Google e Facebook nella diffusione delle notizie online; alla luce di quanto accaduto in Australia con l’approvazione della rivoluzionaria legge che impone a Facebook e Google di pagare le news.

Non è nuovo, infatti, assistere alle diatribe tra i giganti della Silicon Valley e i “semplici” editori, con questi ultimi che vorrebbero ottenere un compenso dai primi per le notizie che vengono diffuse in open access al vasto pubblico degli utenti.

Generalmente i gatekeeper evidenziano il loro ruolo nella diffusione di quelle stesse notizie, che contribuisce ad aumentare i collegamenti tra gli editori e il pubblico dei lettori, al fine di giustificare la mancata od insufficiente erogazione di compensi nei confronti dei “produttori” di articoli. Ergo, già il solo aumento dei contatti tra gli editori e i lettori dovrebbe essere ritenuto come una vera e propria remunerazione, in quanto la disponibilità di articoli gratuiti incentiverebbe gli utenti a pagare per ottenere l’accesso alle notizie visibili solo dietro abbonamento, determinando una crescita delle realtà editoriali.

Offese sui social network: reato di diffamazione e risarcimento del danno

Ciononostante, una simile asserzione costituisce una verità parziale, dal momento che quella degli editori è una vera e propria scommessa – io fornisco accesso gratuito a parte dei miei articoli perché mi aspetto che questi si abbonino per i contenuti completi – mentre Google & co. ottengono, a prescindere da tutto, veri e propri fiumi di dati da cui ottenere un profitto mediante la profilazione e/o la vendita dei dati stessi.

Di conseguenza, gli editori inseguono un profitto incerto e al contempo assicurano la certezza del profitto stesso ai colossi del web.

Questo rapporto è stato giudicato come “malsano” e si è acuito il contrasto specialmente durante il primo periodo della pandemia, in cui numerosi editori hanno avuto un calo delle vendite dei giornali in forma cartacea particolarmente drastico quale conseguenza delle chiusure e delle limitazioni alla circolazione delle persone, con crescita delle interazioni online ai fini di informazione.

Legal Design & Visual Law: prospettive in Italia anche alla luce delle novità introdotte dal GDPR.

Proprio per questo il Governo australiano, il 20 aprile 2020, ha incaricato la Commissione competente in materia di tutela del consumo e della concorrenza affinché producesse un progetto per un codice di condotta obbligatorio che disciplinasse la contrattazione tra gli editori e i giganti del web, la cui bozza è stata fornita il 31 aprile, dopo gli incontri con le parti coinvolte.

Successivamente questa è stata sottoposta alla valutazione parlamentare a inizio dicembre 2020, con approvazione definitiva il 25 febbraio 2021, dopo 3 passaggi parlamentari e con la denominazione di Treasury Laws Amendment (News Media and Digital Platforms Mandatory Bargaining Code) Bill 2021.

L’elemento fondamentale di questa nuova normativa è dato dall’introduzione di una sorta di Arbitro, le cui decisioni sono obbligatorie e che verrebbe chiamato a decidere sul rapporto tra editori e gatekeepers.

Solo che, nelle intenzioni iniziali del legislatore, gli editori avrebbero potuto ricorrere quasi subito a tale Arbitro. Ovviamente, questo ha provocato un forte contrasto con Google e Facebook, che hanno minacciato di lasciare l’Australia priva dei loro servizi qualora non avessero modificato la norma in senso favorevole agli stessi.

Di conseguenza, ora l’Arbitro sarà ricorribile solo quale extrema ratio e si cercherà di favorire accordi spontanei tra l’editoria australiana e le aziende statunitensi, come quelli che stanno stipulando in questi giorni.

Ciononostante, rimane una riforma storica in quanto pone i primi limiti allo strapotere contrattuale delle aziende del web e che permette al Governo di monitorare la situazione e di valutare future modifiche qualora gli effetti non dovessero essere pari alle attese. Peraltro, questa iniziativa ha innescato un “effetto domino” che preoccupa seriamente le società statunitensi, tant’è vero che Nick Clegg, deputato agli Affari Globali di Facebook, ha dichiarato che “The events in Australia show the danger of camouflaging a bid for cash subsidies behind distortions about how the internet works”.

Automazione, Big Data e trasformazione digitale: sfide e opportunità nel reinventare la cittadinanza digitale

Eppure, pare che non sarà possibile fermare questi cambiamenti, poiché sia il Canada che l’Unione Europea (che lo scorso anno aveva già disposto emendamenti al Digital Service Act e al Digital Markets Act volti ad impedire la pubblicità personalizzata indirizzata agli utenti utilizzando i loro dati di profilazione, colpendo proprio uno degli elementi su cui si fonda il loro business) sembrano pronti a introdurre normative simili nei rispettivi ordinamenti, con ciò stabilendo un vero e proprio “obbligo a contrarre” per quei soggetti che operino in un mercato monopolistico o comunque oligopolistico in quanto trattasi di cd. “essential facilities” che, pur fornendo servizi essenziali, comunque lo fanno in un contesto pressoché privo di concorrenza.

Nell’UE questo punto è già stato affrontato dalla Corte di Giustizia con il caso Brenner del 1998, il quale insegnò che simili posizioni dominanti si traducono di per se stesse in un obbligo a contrarre nel caso si fornisca un bene o servizio considerato essenziale per i concorrenti allo scopo di permettere loro di operare in un determinato mercato ovvero, qualora il servizio offerto non sia duplicabile (o quasi, visto che esisterebbe Bing di Microsoft, che tuttavia è assai poco diffuso) e risulti indispensabile per lo svolgimento delle attività per le quali esso viene richiesto.

Quindi, è chiaro come una diffusione di interventi in tal senso costringerebbe a ripensare radicalmente il modello stesso di business attualmente esistente nel digitale, così da fornire sia una maggior tutela agli utenti (sul trattamento dei dati) che una “compartecipazione” per quegli operatori che ancora sono legati a una realtà ben più “tangibile”, quali gli editori.

 

Luigi Izzo

sovraindebitamento avv. elio errichiello

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *