Il pass vaccinale tra esigenze di tutela sanitaria e rischi di violazione della privacy dei dati

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In Europa nelle ultime settimane si discute di pass vaccinale: ecco una disamina su problematiche inerenti alla tutela dei dati personali.

Il primo marzo 2021, il Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, twittava “we’ll present this month a legislative proposal for a Digital Green Pass. The aim is to provide: proof that a person has been vaccinated; results of tests for those who couldn’t get a vaccine yet; info on covid 19 recovery. It will respect data protection, security & privacy”.

Seguiva, in data 03 aprile 2021, l’annuncio sul Corriere della Sera da parte del Generale Francesco Figliuolo, commissario per l’emergenza Covid-19, circa l’importanza di introdurre un green pass di natura europea, “il certificato indicherà, a livello europeo, quale vaccino si è ricevuto, se si è avuto il Covid-19 e se si hanno gli anticorpi al virus. Sarà facoltativo, in formato sia digitale sia cartaceo e avrà un codice Qr, Entrerà in vigore a partire dal 15 giugno”.

Nell’ottica di ripristinare, nel più breve tempo possibile, secondo le più ottimistiche previsioni, la possibilità per i cittadini europei di viaggiare nel territorio dell’Unione Europea o all’estero, è stata annunciata l’introduzione del Digital Green Pass, consistente in un dispositivo digitale che attesti il pregresso contagio da Covid-19 o l’avvenuta somministrazione di vaccino, similmente a quanto accade con il passaporto o con un documento rilasciato dalla P.A. che certifica l’identità e la nazionalità di un individuo.

Specificamente, come ha dichiarato il Presidente della Commissione Europea, il certificato di cui si discute potrebbe considerare diversi parametri: l’avvenuta vaccinazione, un esame clinico con esito negativo nel caso non ci si possa sottoporre alla vaccinazione, l’avvenuta guarigione per la presenza di anticorpi per chi è stato già affetto dal virus.

Si consideri, preliminarmente, che, in tal caso, la Commissione ha esercitato il proprio potere di iniziativa, attivatasi su invito del Consiglio o del Parlamento europeo che dovrà essere, poi, approvata secondo la procedura legislativa ordinaria di codecisione, disciplinata dall’art. 294 TFUE.

Sebbene debba esaurirsi la fase legislativa, sono già molteplici gli interrogativi circa la legittimità dello strumento del passaporto vaccinale, soprattutto nel momento attuale in cui la campagna vaccinale è ancora lungi dall’essere capillare e diffusa e viaggia, peraltro, a velocità diverse nei diversi Stati europei.

Intanto è possibile ricordare che l’idea dell’introduzione di un “passaporto vaccinale”, richiesto per l’ingresso in taluni Paesi è già nota con l’esempio, certamente più rudimentale, del cartaceo Certificato internazionale di vaccinazione o profilassi (Certificat international de vaccination ou de prophylaxie), approvato dall’O.M.S. e previsto specificamente per la malaria (paludisme), ove si indicano il tipo di vaccino, numero di lotto, data di vaccinazione ed eventuali richiami.

L’ipotesi di introduzione di un passaporto vaccinale o altrimenti detto passaporto covid trova, tuttavia, dissensi presso la medesima Organizzazione Mondiale della Sanità che, tramite la portavoce Margaret Harris, ha palesato le proprie perplessità circa la reale efficacia del vaccino ad impedire la trasmissione del virus e, altresì, si è soffermata sulle ricadute in termini di discriminazione che verrebbero a determinarsi con l’ottenimento di siffatto documento a nocumento, ad esempio, di coloro che, in virtù della libertà di circolazione e di autodeterminazione (art. 8 e 9 CEDU, art. 5 Conv. Oviedo, 04.04.1997) non intendono sottoporsi alla vaccinazione Covid-19, come evidenziato anche dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa il 27.01.2021.

Medesimi dubbi sono stati sollevati dalle autorità francesi, tant’è che il sottosegretario agli affari europei, Clément Beaune, così si è pronunciato “Si on parle d’un papier, un document qui vous autorise à voyager en Europe, je crois que c’est très prématuré (…). Quand l’accès au vaccin sera généralisé, ce sera un sujet différent”, manifestando un atteggiamento molto più cauto rispetto agli “imperativi” della Commissione Europea, sebbene in Francia già esista un elenco denominato “Vac-si”, aggiornato in tempo reale dai professionisti sanitari e contenenti i nominativi quotidiani di soggetti che ricevono le dosi di vaccino, tuttavia, non utilizzato per limitare e/o controllare gli spostamenti degli individui.

Nella realtà italiana, già sono stati affrontati i quesiti circa l’opportunità dell’introduzione di sistemi di tracciamento (contact tracing), funzionali alla limitazione del contagio da Coronavirus, approdati all’adozione dell’app “Immuni”, scaricata solo sul 20% degli smartphone degli italiani.

Invero, in Italia, il dibattito sull’opportunità dell’adozione di siffatto documento vaccinale si concentra sull’esigenza di rinvenire una soluzione per gli spostamenti nazionali e/o all’estero, tuttora impediti, per l’accesso ai locali, per la fruizione di più disparati servizi ed estensivamente per la partecipazione ad eventi e ad altre occasioni di aggregazione e/o di svago (stadi, concerti).

Ma anche in tal caso, è già in uso l’app denominata “Mitiga”, che, analogamente all’annuncio del generale Figliuolo in merito alla pronta introduzione di un passaporto vaccinale, prevede una tecnologia che si “appoggia” alla rete delle farmacie o di laboratori clinici accreditati.

I dati – comunque non archiviati – del soggetto che effettua un tampone o si sottopone alla vaccinazione presso la farmacia o il laboratorio accreditati vengono inseriti in un database che genera un Qr, disponibile sul proprio smartphone, che consente l’accesso all’interno di locali o ad eventi entro un limitato lasso temporale.

A moderare il dibattito sulla proposta legislativa europea di introduzione del passaporto vaccinale o di similari pass digitali, contenenti informazioni sanitarie come condizione per gli spostamenti ed accessi a locali o servizi, è doverosamente e prontamente intervenuto in Italia il Garante per la protezione dei dati personali che il 1’ marzo scorso si è pronunciato in merito, avvertendo che l’adozione del mentovato strumento “debba essere oggetto di una norma di legge nazionale, conforme ai principi in materia di protezione dei dati personali (in particolare, quelli di proporzionalità, limitazione delle finalità e di minimizzazione dei dati), in modo da realizzare un equo bilanciamento tra l’interesse pubblico che si intende perseguire e l’interesse individuale alla riservatezza”, concludendo per l’illegittimità dello strumento de quo laddove, in assenza di una base normativa, venisse adoperato da soggetti pubblici e/o provati per distinguere (rectius, discriminare) soggetti vaccinati da soggetti non vaccinati.

Il Garante, dunque, sembra essersi posto lo stringente problema che l’introduzione di un passaporto vaccinale possa celare l’intento di stabilire surretiziamente un obbligo vaccinale, tradendo così i richiamati postulati di cui alla Convenzione EDU, sebbene una famosa pronuncia della Consulta (n. 5/2018, Pres. Grossi, Rel. Cartabia) abbia statuito, invocando il principio di contemperamento del diritto alla salute del singolo, che “una legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost., se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990)”.

Tenendo a mente tale importante precedente, al fine di sarà, indi, necessario prescrivere, nell’osservanza della disciplina di cui al Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali, misure organiche in tutto il territorio nazionale, attraverso una puntuale vincolante legge statale, assicurando chiarezza e omogeneità nei precetti.

Tiziana Di Palma

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