Il Diritto alla Privacy

Le origini storico – giuridiche del diritto alla Privacy e le differenze che il concetto di privacy assume nei sistemi giuridici di civil law e di common law.

Diritto alla privacy
Data Protection Law | Consulenza e assistenza in materia di privacy e protezione dati personali | Avv. Elio Errichiello

Chi non ha mai sentito parlare di diritto alla privacy?

Ogni volta che compiliamo un modulo, che stipuliamo un contratto, che acquistiamo un biglietto aereo, che richiediamo un servizio alla nostra Banca, che scarichiamo un’applicazione sul nostro smart phone o che ci registriamo on line su un sito, ci viene  sottoposta una lunga informativa sulla “Privacy Policy” e ci viene richiesto di spuntare la fatidica casella con su scritto “acconsento o non acconsento”.

Non vi è dubbio, infatti, che nell’era digitale la parola Privacy venga usata, o meglio “abusata” continuamente, giungendo a diventare un grande contenitore in cui sono riposti in modo disordinato una serie di concetti e diritti molto diversi tra loro.

Proviamo allora a fare un po’ di chiarezza.

Origini del diritto alla privacy

Non vi è dubbio che il bisogno di riservatezza sia insito nella natura umana.

Fin dalle sue origini, infatti, l’uomo ha manifestato la necessità di proteggersi e tutelarsi dai pericoli derivanti dall’esterno (intemperie, animali, nemici), di creare un proprio spazio intimo e sicuro sia da un punto di vista materiale che relazionale. Con l’evoluzione della coscienza di sé e lo sviluppo della civiltà, la riservatezza assume valore come esigenza di separazione tra la vita pubblica e  quella privata, come  necessità di avere uno spazio intimo in cui coltivare la propria identità (sociale, religiosa, politica) .

Poste queste brevi premesse, per conoscere le origini del concetto moderno di privacy occorre fare un salto negli Stati Uniti D’America di fine ottocento, all’epoca dello sviluppo della stampa e del gossip e delle prime macchine fotografiche automatiche.

Era il 1890, infatti, quando nella città di Boston, due giovani avvocati, Warren e Brandeis pubblicarono nella Harvard Law Review il famoso articolo “Right to Privacy” .

L’ispirazione di questo saggio deriva direttamente dall’esperienza personale e professionale degli autori che erano in procinto di intentare una causa contro un giornale della città, che era solito pubblicare “pettegolezzi” accompagnati da fotografie delle feste più mondane della borghesia cittadina, che ritraevano senza filtri gli invitati, tra i quali figurava spesso la signora Warren.

Pertanto, stanco dell’interesse manifestato dalla stampa americana nei confronti della sua vita matrimoniale il famoso avvocato, insieme all’illustre collega rivendicava l’esigenza che nei rapporti privati vi fosse un limite all’ingerenza nella vita altrui (cd. Right to be left alone) rappresentato dalla presenza di un interesse pubblico che legittimi la pubblicazione di una notizia.

L’aspetto più problematico nell’esperienza americana è stato, quindi, sin da subito quello di trovare un equilibrio tra riservatezza e informazione e di individuare dei criteri per stabilire quando, nel bilanciamento tra interesse del singolo e della collettività quest’ultimo debba prevalere.

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Il diritto alla privacy in Europa

In Europa, invece, l’istituto giuridico in questione si sviluppa dopo la seconda guerra mondiale, in seguito all’esperienza degli stati totalitari, che utilizzavano le informazioni sui loro cittadini (carpite senza limiti anche tramite l’ascolto delle comunicazioni) al fine di eliminare ogni dissenso politico.

Nell’esperienza europea, quindi, la Privacy ha genesi del tutto diversa che si ricollega alla dicotomia  hobbesiana potere/libertà e nasce come tutela dei cittadini dal controllo illimitato dell’Autorità pubblica.

Il diritto alla riservatezza, quindi, seppure con le debite differenze di cui sopra, nasce come un diritto di personalità connaturato, cioè, all’idea giuridica di persona fisica ed in quanto tale trova il suo fondamento nel valore supremo della dignità umana.

La dignità della persona è, infatti, considerata, a livello internazionale, il fulcro dei diritti fondamentali ed il valore primario di tutte le Carte dei Diritti universali, da quella dell’ONU a quella di Nizza.

Non è un caso, quindi che i primi riconoscimenti internazionali del diritto alla Privacy si rinvengano proprio nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 che all’art. 12 condanna le interferenze arbitrarie nella vita privata e nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e del cittadino, che all’art. 8 impone il rispetto della vita privata e familiare successivamente riconosciuto anche dalla Carta europea all’art. 7.

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Il diritto alla privacy in Italia

Sulla scorta di tale riconoscimento “globale” tra gli anni ’50 e anni ’70 molte leggi nazionali europee (e non è un caso che si tratti spesso di leggi di tutela dei lavoratori, vedi ad esempio lo Statuto dei Lavoratori in Italia) e finanche alcune costituzioni, come quella spagnola (art. 18), iniziano ad inserire disposizioni a tutela della riservatezza.

Quanto all’esperienza italiana, uno dei primi giuristi ad interessarsi della materia fu Adolfo Ravà docente di filosofia del diritto, il quale, in pieno accordo con la dottrina tedesca e spagnola, colloca il diritto alla riservatezza  tra i diritti della personalità.
Negli anni ’50 si registrano anche le prime pronunce giurisprudenziali di merito connesse al tema del bilanciamento tra riservatezza e informazione allorquando personaggi noti, vedendo le proprie vicende personali “gettate in pasto” al pubblico, si rivolgono ai giudici in cerca di tutela.

Bisogna, però, attendere il 1975 per vedere la Corte di Cassazione affermare finalmente l’esistenza autonoma del diritto alla riservatezza nell’ordinamento italiano.

La controversia oggetto della pronuncia in esame vedeva la ex imperatrice Soraya Esfandiari opporsi ad alcuni giornali che avevano pubblicato delle fotografie che la ritraevano in atteggiamenti intimi con un uomo, all’interno della sua abitazione.

Con la sentenza in oggetto (Cass, sent. n. 2129/1975) il Supremo Collegio, richiamando principi costituzionali interni (artt. 2 e 3 Cost.) ed internazionali (artt. 8 e 10 CEDU), afferma, infatti, che la divulgazione di vicende personali e familiari non direttamente rilevanti per l’opinione pubblica costituisce lesione della privacy anche quando è attuata con mezzi leciti e per fini non esclusivamente speculativi.

Diritto alla privacy e diritto alla protezione dei dati personali

In questa sua accezione originaria, quindi, la Privacy è costruita, come tutti i diritti afferenti alla tutela della vita privata (vedi ad esempio la tutela del domicilio) sul modello del diritto di proprietà, ed è concepita come il diritto del singolo di tutelare il proprio spazio di intimità dalla curiosità e dal controllo altrui.

Con lo sviluppo della tecnologia, in particolar modo nel settore delle comunicazioni a distanza (dai telefoni cellulari ad internet) ed in quello dell’archiviazione delle informazioni (che dal “cartaceo” passano via via al digitale), il rischio di ingerenza altrui nella propria sfera personale cresce in via esponenziale e si manifesta la necessità di porre dei limiti alla raccolta e all’uso delle informazioni personali.

In tale contesto, quindi, il diritto alla riservatezza si sdoppia, cosicchè alla privacy di cui sin ora abbiamo parlato si affianca il diritto alla protezione dei dati personali, più strettamente connesso alla tecnologia digitale, in quanto teso a tutelare gli individui dai rischi derivanti da sistemi di  diffusione dei dati personali sempre più veloci e dalle tecniche sempre più sofisticate di utilizzo degli stessi per i fini più disparati (marketing, profilazione, fidelizzazione, controllo sociale, influenza dell’opinione pubblica).

 di Avv. Lucrezia D’Avenia