Google e YouTube: tra tutela della proprietà intellettuale e diritto alla privacy degli utenti

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Risale a pochi giorni fa l’ultima pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea (breviter “Corte”) in tema di tutela della proprietà intellettuale online che coinvolge Google e You Tube.

Con sentenza del 9 luglio scorso, infatti, la Quinta Sezione della Corte si è pronunciata sul procedimento C-264/19, il quale vedeva contrapposti, da un lato, la Constantin Film Verleih (società distributrice di film con sede in Germania, di seguito breviter “Constantin”) e, dall’altro, i due colossi del web YouTube LLC e Google Inc.

Google e YouTube: proprietà intellettuale e privacy

La controversia originava dalla messa a disposizione su alcuni canali YouTube di opere cinematografiche di cui la società di distribuzione tedesca deteneva i diritti di sfruttamento esclusivi per la Germania.

Come noto, infatti, YouTube è una piattaforma web 2.0 che dal 2005 permette agli utenti di fruire, caricare e condividere contenuti ed opere multimediali. Dopo aver riscosso enorme successo (ed aver di fatto stravolto le nostre abitudini), la piattaforma è stata acquisita da Google nel 2006, diventando il sito di video-sharing più cliccato al mondo, secondo come visite solo a Google.com[1].

È in tale scenario cibernetico che la vicenda processuale è giunta dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea.

La vicenda processuale

Come già anticipato, la Constantin Film Verleih agiva in giudizio per la tutela dei diritti di proprietà intellettuale, violati dalla condivisione (e dalla conseguente visualizzazione) su alcuni canali della piattaforma YouTube della versione integrale di alcune delle opere cinematografiche distribuite dalla stessa società tedesca in Germania.

Invero, prima di incardinare il giudizio dinanzi l’autorità tedesca, la Costantin aveva già richiesto a Google i dati degli utenti che avevano illecitamente condiviso le opere cinematografiche su YouTube, ma la società tedesca otteneva solamente nomi fittizi (username) adoperati dagli utenti per accedere alla piattaforma; dette informazioni si rivelavano inutili ai fini della tutela degli interessi e dei diritti della società tedesca.

Per tale ragione, la Costantin adiva il Tribunale di Francoforte affinché ordinasse a YouTube e Google di fornire informazioni supplementari, utili all’identificazione degli autori degli illeciti; in particolare, la società tedesca chiedeva di ottenere gli indirizzi di posta elettronica, i numeri di telefono cellulare, gli indirizzi IP utilizzati dagli utenti per il caricamento dei file, il momento esatto del caricamento delle opere online, oltre che l’indirizzo IP utilizzato da tali utenti per l’ultimo accesso al loro account Google.

Al termine del primo grado di giudizio le richieste della Costantin venivano respinte, mentre in appello trovavano parziale accoglimento, laddove il Tribunale superiore del Land (competente a giudicare in secondo grado) condannava Google a fornire i soli indirizzi e-mail degli utenti.

A questo punto, la Costantin ricorreva alla Corte federale di giustizia tedesca (terzo ed ultimo grado di giudizio), insistendo nella condanna di YouTube e di Google a comunicare i numeri di telefono e gli indirizzi IP degli utenti, mentre le società statunitensi chiedevano il rigetto integrale del ricorso, con riformulazione della sentenza impugnata nella parte in cui condannava le stesse Google e YouTube alla comunicazione degli indirizzi di posta elettronica dei propri utenti.

Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Ue

avvocato esperto privacyAlla luce delle richieste delle parti e degli orientamenti discordanti all’interno dello stesso ordinamento tedesco, il giudice di ultima istanza sospendeva il procedimento al fine di chiedere alla Corte l’interpretazione dell’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/48/CE[2] e, in particolare, di chiarire se le informazioni supplementari richieste dalla Constantin (id est gli indirizzi e-mail degli utenti dei servizi e/o i numeri di telefono degli utenti dei servizi e/o gli indirizzi IP utilizzati dagli utenti dei servizi per caricare file lesivi di un diritto, nonché l’ora esatta del caricamento) (a) potessero essere ricomprese nel termine «indirizzo», contenuto nella predetta disposizione e, (b) in caso di risposta affermativa della Corte, se le informazioni da fornire ai sensi di detta disposizione riguardassero anche l’ultimo indirizzo IP utilizzato dall’utente che in precedenza aveva caricato file lesivi di un diritto, per accedere al proprio account Google e/o YouTube, nonché l’ora esatta dell’accesso, indipendentemente dal fatto che durante tale ultimo accesso siano state commesse violazioni della proprietà intellettuale.

Le violazioni della proprietà intellettuale online …

Come noto, la vicenda in commento si è verificata in virtù dei recenti progressi tecnologici e della conseguente nascita di piattaforme di sharing e reti sociali come YouTube e Facebook le quali hanno avuto un grande impatto sulla vita degli utenti, rivoluzionandone le modalità di comunicazione e contribuendo alla nascita della c.d. “società dell’informazione[3].

Il web 2.0 è infatti capace di raggiungere in modo pervasivo device capaci di avvocato esperto privacyelaborare dati, scambiare informazioni e condividere file in ogni momento, da un capo all’altro del globo e ad altissima velocità[4].

Le opere digitali (come nel caso di specie i film distribuiti in Germania dalla Constantin) hanno, dunque, la possibilità di circolare in Rete ad una rapidità tale rendere obsolete le modalità di tutela “classiche”, mostrandone gli evidenti limiti in uno scenario completamente diverso da quello in cui le stesse sono state ideate.

È proprio per fare fronte a tale necessità di tutela che l’allora Comunità europea (oggi Unione), con la direttiva “enforcement” n. 2004/48/CE (recepita in Italia con D.lgs. n. 140/2006), ha posto le basi per assicurare il pieno rispetto della proprietà intellettuale, in conformità all’art. 17, par. 2, della Carta di Nizza. Invero, con tale provvedimento sono state previste misure, procedure e mezzi di ricorso necessari ad assicurare il rispetto dei predetti diritti, strumenti di tutela che secondo la direttiva sono “leali ed equi, non inutilmente complessi o costosi e non comportano termini irragionevoli né ritardi ingiustificati. Le misure, le procedure e i mezzi di ricorso sono effettivi, proporzionati e dissuasivi e sono applicati in modo da evitare la creazione di ostacoli al commercio legittimo e da prevedere salvaguardie contro gli abusi e gli Stati membri assicurano che i titolari possano chiedere un provvedimento ingiuntivo nei confronti di intermediari i cui servizi sono utilizzati da terzi per violare un diritto di proprietà intellettuale”.

Nell’ambito degli strumenti di tutela previsti dalla direttiva c.d. “enforcement”, si evidenzia come l’art. 8 della medesima (rubricato “Diritto d’informazione”) statuisce che, in risposta ad una richiesta giustificata e proporzionata del “richiedente” (id est il titolare del diritto leso), l’autorità competente possa ordinare che le informazioni sull’origine e sulle reti di distribuzione che violano un diritto di proprietà intellettuale siano fornite dall’autore della violazione e/o da ogni altra persona connessa alla violazione.

In particolare, il paragrafo 2 della disposizione in commento aggiunge alla lettera a) che, ove opportuno, le informazioni possono comprendere “nome e indirizzo dei produttori, dei fabbricanti, dei distributori, dei fornitori e degli altri precedenti detentori dei prodotti o dei servizi, nonché dei grossisti e dei dettaglianti”.

Risulta necessario, però, tenere conto che, già nell’ormai lontano 2004, il legislatore comunitario aveva cura di stabilire che la comunicazione delle informazioni di cui ai precedenti paragrafi 1 e 2 dovesse necessariamente tenere conto delle disposizioni regolamentari le quali “disciplinano … il trattamento di dati personali (lett. e della medesima disposizione).

… e la tutela della privacy

La tutela della riservatezza (o privacy) è un diritto fondamentale dell’individuo la cui disciplina è stato oggetto di ampia ed attenta rivisitazione alla luce dell’evoluzione tecnologica e della globalizzazione, tipiche della società dell’informazione. Infatti, come noto, la tutela della privacy in ambito europeistico ha fonte precedente agli stessi Trattati istitutivi dell’Unione europea ed i principi posti a suo fondamento sono stati di recente modificati con Regolamento UE n. 2016/679, direttamente applicabile in tutti gli Stati membri dal 25 maggio 2018[5].

Il trattamento dei dati[6] delle persone (tra cui rientrano certamente le informazioni degli utenti richieste dalla Constantin a Google e Youtube), pertanto, è oggi regolato (e tutelato) alla luce della predetta normativa, la quale, per i casi di violazione delle stesse, ha rafforzato la tutela dei c.d. interessati, prevedendo importanti sanzioni (di natura amministrativa e penale), che possono estendersi nei casi di maggiore gravità fino a un massimo di Euro 20.000.000 o, per le imprese (come Google), fino al 4% del fatturato mondiale totale annuo dell’esercizio precedente, se superiore.

Pertanto, nell’applicazione della normativa afferente alla tutela dei diritti di natura economica (come lo sfruttamento di opere digitali da parte del titolare dei diritti di proprietà intellettuale sulla stessa) non può non tenersi in considerazione la disciplina in tema di tutela della riservatezza, che, come già detto, è stata modificata proprio al fine di prevedere una maggiore tutela dei diritti dei cittadini, anche nello spazio cibernetico[7].

Conclusioni

Nella propria pronuncia sul rinvio ex art. 267 TFUE del Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia tedesca),  la Corte di giustizia dell’Unione europea avrà di certo tenuto in considerazione il GDPR nel corso della propria interpretazione dell’art. 8 della direttiva “enforcement”. Invero, con riferimento alla predetta domanda  vertente sull’interpretazione dell’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/48/CE, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, la Corte ha avuto l’occasione di affermare che “la nozione di «indirizzo» ivi contenuta non si riferisce, per quanto riguarda un utente che abbia caricato file lesivi di un diritto di proprietà intellettuale, al suo indirizzo di posta elettronica, al suo numero di telefono nonché all’indirizzo IP utilizzato per caricare tali file o all’indirizzo IP utilizzato in occasione del suo ultimo accesso all’account utente”.

Con tale decisione la Corte (giustamente) non ha avallato una lettura estensiva della nozione di «indirizzo» (sostenuta dalla Constantin) in quanto i risvolti in ordine ad una sua applicazione in tema di tutela della riservatezza ed “informazioni” avrebbero potuto rivelarsi catastrofici. Al contempo, però, non può sottacersi come la condivisibile decisione della Corte si sia fondata su un’interpretazione letterale e sistematica della nozione di «indirizzo», in mancanza di qualsivoglia chiaro e deciso riferimento alla innovata normativa in tema di tutela della privacy in Internet.

 

                                                                                                                                   Giulio Riccio

[1] The top 500 sites on the web, https://www.alexa.com/topsites.

[2]  la direttiva 2004/48/CE (anche detta “direttiva enforcement”) mira ad assicurare il pieno rispetto della proprietà intellettuale in conformità all’art. 17, par. 2, della Carta di Nizza.

[3]   S. CRAWFORD, The Origin and Development of a Concept: The Information Society, 1983, Bull. Med. Libr. Assoc. 71(4) October, 380.

[4]   M. HARDT, A. NEGRI, Multitude: War and Democracy in the Age of the Empire, 2005, New York: Hamish Hamilton, 108.

[5] Il regolamento UE n. 2016/679 (anche detto GDPR) è stato in ogni caso recepito nell’ordinamento italiano con D.lgs. 19 agosto 2018, n. 101 il quale ha adeguato alla nuova normativa il D.lgs. n. 196/2003 (c.d. Codice della Privacy).

[6]Il termine “dato” è sinonimo di informazione che, in ambito informatico, rappresenta un insieme di simboli (numeri, lettere).

[7] Si pensi al diritto all’oblio esercitabile dall’interessato a determinati condizioni, ai sensi dell’art. 17, par. 3, GDPR.

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