Fase 2: tracking volontario e digital divide. App Immuni

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Siamo ormai in prossimità del fatidico 3 maggio, data in cui si attendono le nuove decisioni del Governo rispetto all’emergenza epidemiologica che ormai da oltre un mese vede la maggior parte degli italiani confinata nelle proprie mura domestiche. Persino le mansioni quotidiane e lavorative sono svolte con difficoltà, dovute alle stringenti precauzioni anti-contagio.

L’Italia sta per adottare nuove misure di contrasto al contagio che prevederanno minori restrizioni sullo spostamento dei cittadini; tale fase è individuata con il termine “fase 2”, in cui ci si avvicinerà ad un progressivo ripristino delle attività produttive, sportive, professionali, ecc., il quale non potrà che fare i conti con il rischio del verificarsi di nuovi casi.

Il dibattito su come sarà – ed a quali regole dovrà essere informata – la nuova “normalità” cresce ogni giorno. I nodi presentati dall’emergenza non potranno che essere sciolti dal diritto e dalle nuove misure normative che dovranno contemperare gli interessi in gioco, i quali non rivestono esclusivamente natura economica.

In questo momento storico in cui il tracciamento degli individui potrebbe essere un valido strumento di contrasto alla diffusione del virus Covid-19, emerge come fondamentale esigenza la tutela della riservatezza.

Tale preoccupazione, infatti, appare evidente alla luce di quanto sta accadendo in Cina, dove è ormai la fase 2 è già in corso, in particolare nella regione di Wuhan, divenuta nota in quanto risulterebbe essere luogo dell’origine del contagio[1].

  • Il contrasto al contagio e la tracciabilità a Wuhan.

Alla luce delle immagini e delle notizie provenienti direttamente da Wuhan[2], in cui la c.d. “fase 2” è ufficialmente iniziata l’8 aprile, sappiamo che oggi la circolazione dei cittadini cinesi è subordinata al possesso di un certificato del proprio datore di lavoro, ovvero di un codice checkpoint elettronico valido per una settimana, i quali permettono di uscire dalla propria abitazione una sola volta al giorno, per massimo due ore, solo se l’esito dell’obbligatoria  misurazione della temperatura corporea risulta positivo.

Invero, al fine di tutelare la salute pubblica evitando la diffusione del virus, le autorità cinesi hanno provveduto a sfruttare la tecnologia per monitorare gli spostamenti degli individui.

Come esempio di tale ricorso agli strumenti di tracking basti pensare agli spostamenti attraverso il trasporto pubblico; infatti, le linee metropolitane sono sorvegliate e sono utilizzabili dai cittadini solo previo esito positivo di un controllo operato con lo smartphone, mediante scansione di un codice QR.

Dunque, con tale modalità, gli individui hanno l’obbligo di comunicare la propria presenza in determinati luoghi pubblici; continuando con l’esempio della linea metropolitana, se il controllo del codice QR (c.d. check) all’ingresso della stazione non da esito positivo (ovvero luce verde sul monitor del dispositivo) il cittadino non è autorizzato ad usufruire del mezzo. Al fine di rendere il monitoraggio efficace, la predetta scansione mediante smartphone deve essere esperita anche al momento dell’abbandono del mezzo.

Tale procedura, permette alle autorità cinesi, qualora vengano a conoscenza di un caso di Covid-19, di risalire a tutte le persone che abbiano condiviso la stessa posizione del soggetto contagiato; in tal caso, al momento del check tramite scansione codice QR, gli individui che hanno stazionato in prossimità del soggetto affetto dal virus, al momento del check, vedranno automaticamente mutare il monitor del proprio device da colore verde a giallo, corrispondente al segnale di rischio contagio; in tal caso scatterà l’obbligo di rimanere a casa, ovvero di recarsi in ospedale.

La necessità e l’opportunità di creare un analogo tipo di sorveglianza, al fine di contenere il numero dei contagi è stato avvertito anche nei confini dell’Unione europea.

A tal proposito, il Presidente del Garante per la protezione dei dati personali, Antonello Soro, ha avuto modo di affermare che un’eventuale raccolta dei dati sull’ubicazione dei dispositivi mobili dei soggetti positivi al virus, con altri dispositivi, al fine di analizzare l’andamento epidemiologico o per ricostruire la catena dei contagi, non può che privilegiare un criterio di gradualità. Dunque, dovranno prediligersi misure non invasive, sufficienti ai fini della prevenzione epidemiologica, secondo quanto previsto da una disposizione normativa che, ai sensi dell’art. 15 della direttiva e-privacy, dovrà essere sufficientemente dettagliata e contenere adeguate garanzie[3].

Sempre secondo il Presidente del Garante privacy, il contact tracing, ovvero la mappatura a ritroso dei contatti tenuti, nel periodo d’incubazione, da soggetti risultati contagiati, attraverso l’incrocio di dati con altri dispositivi mobili desunti dal ricorso a tecnologie Bluetooth, potrebbe risultare uno strumento “apprezzabile” se ispirato ad un principio solidaristico, teso unicamente alla ricostruzione della catena epidemiologica.

Lo strumento prescelto dal Governo per il tracciamento dei contagi durante la fase 2 potrebbe essere “Immuni”, l’app di proprietà di una giovane società italiana che sarebbe in grado, secondo gli esperti, di bilanciare la tutela della riservatezza con l’esigenza di celere contrasto a nuovi contagi.

“Secondo le prime anticipazioni l’app potrà essere scaricata su base volontaria e in maniera del tutto gratuita. Tuttavia, per avere l’efficacia auspicata l’app dovrà essere scaricata da almeno il 60% degli italiani. L’applicazione potrebbe essere disponibile per tutti dal mese di maggio”[4].

Al di là degli aspetti puramente tecnici relativi alle modalità di conservazione ed utilizzo dei dati raccolti dall’app, la volontarietà dell’utilizzo di Immuni segna la sostanziale divergenza dal modello cinese, in cui – come detto supra – i cittadini sono obbligati a registrarsi, ove richiesto, tramite scansione dei codici QR con il proprio smartphone.

Se da un lato, dunque, la volontarietà esalta la libertà di autodeterminazione dei cittadini italiani e la mancanza di alcun tipo di condizione, la possibilità di uscire di casa senza il proprio cellulare, ovvero di evitare di scaricare l’app sembrerebbe segnare una fragilità del sistema di tracciamento in commento, il quale risulterebbe inefficace qualora non supportato da un’importante percentuale di utenti.

Ma anche qualora la totalità dei cittadini acconsentisse liberamente al proprio tracciamento, non è chiaro quale sia l’iter (sanitario) – teso al contenimento del contagio – a cui dovranno sottoporsi coloro che ricevono la notifica di rischio contagio, a cui l’intero sistema volge per contenere e/o eliminare la diffusione del virus.

  • Conclusioni: tutela della privacy e digital divide.

Orbene, risulta chiaro che solo particolari accorgimenti tecnici sull’utilizzo e sulla conservazione dei dati potranno scongiurare una deriva degli strumenti in commento, che – in ogni caso – non potranno giammai rendersi obbligatori (sul modello cinese), pena l’obliterazione di tutti i principi in tema di tutela della riservatezza contenuti nelle disposizioni vigenti.

Allo stesso modo, però, non sembra che sia prevista un’adeguata informazione – già da questa fase preliminare – per coloro che hanno poca confidenza con gli strumenti tecnologici (e.g. smartphone), ovvero sono vittime del c.d. digital divide.

A differenza di altri Stati europei (e non solo), infatti, l’Italia vede ancora oggi “un forte divario digitale da ricondurre soprattutto a fattori generazionali e culturali”[5]. In particolare, risultano “tagliati fuori” dalla società dell’informazione, proprio quei soggetti (gli anziani) che dovrebbero essere più tutelati perché mediamente esposti a maggior rischio di complicazioni in caso di contagio.

Infine, crea non poche discussioni il ricorso ad un’app per far fronte alla lotta al contagio, lasciando forti interrogativi sull’opportunità di trasmettere i dati di numerosissimi cittadini in mano di privati.

A parere dello scrivente, tali interrogativi sono fondati e devono essere profondamente analizzati dal legislatore nel bilanciamento degli interessi in campo; le medesime preoccupazioni relative all’affidare – più o meno volontariamente – i propri dati ad una società privata tramite app dovrebbero, però, pervadere anche la vita quotidiana di ognuno, laddove spesso con troppa facilità – e spesso inconsapevolezza – vengono forniti i propri dati (e.g. posizione) attraverso strumenti di comunicazione per fini neanche lontanamente comparabili con la tutela della salute.

 

Giulio Riccio

 

[1] Questa regione è famosa per il mercato di animali vivi, i quali per molti sarebbero stati vettori del virus agli esseri umani, circostanza che sarebbe stata agevolata dalle scarse condizioni igieniche in cui venivano commercializzati.

 

[2] Numerosi sono stati in queste settimane i servizi TV sulla situazione cinese, in particolare si fa riferimento ai servizi di Report (noto programma in onda su RaiTre) “Wuhan città aperta?” e “Wuhan fase 2” andati in onda rispettivamente il 06/04/2020 ed il 20/04/2020.

[3] Audizione informale, in videoconferenza, del Presidente del Garante per la protezione dei dati personali sull’uso delle nuove tecnologie e della rete per contrastare l’emergenza epidemiologica da Coronavirus (https://www.garanteprivacy.it/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9308774)

 

[4] Susanna Pecoraro, Tutte le curiosità sull’app “Immuni”: l’ausilio ideato per la fase 2 dell’emergenza Coronavirus! (https://pinkcounsel.wordpress.com/2020/04/23/tutte-le-curiosita-sullapp-immuni-lausilio-ideato-per-la-fase-2-dellemergenza-coronavirus/)

[5] Comunicato stampa ISTAT “CITTADINI E ICT” del 18 dicembre 2019 (https://www.istat.it/it/archivio/236920).

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