Automazione, Big Data e trasformazione digitale: sfide e opportunità nel reinventare la cittadinanza digitale

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Nel XXI secolo, l’evoluzione della tecnologia ha portato alla diffusione di innumerevoli dispositivi in grado di connettersi alla Rete e di modificare ed espandere la realtà umana. Le reti di telecomunicazione e le tecnologie di Internet e i Big Data, in particolare, hanno registrato una crescita tecnologica che difficilmente trova paragoni  in altri settori e sono divenuti un elemento irrinunciabile della nostra vita quotidiana[1], tanto da arrivare a parlare di cittadinanza digitale.

Il costante utilizzo di smartphone, tablet e personal computers e di altri dispositivi connessi ad Internet, ha generato un sovraccarico informativo ed una mole immensa di dati – frutto del progressivo ampliarsi delle connessioni accorse dalla nascita del web fino ad oggi – concernenti pensieri e abitudini sulla propria vita, quotidianamente pubblicati on-line dove rimangono accessibili e potenzialmente utilizzabili.

Questo gigantesco volume di dati, i c.d. “Big Data”[2], è in continua e rapida crescita, ma, allo stesso tempo, senza una corretta attività di analisi che permetta di ricavare informazioni utili capaci di mettere in relazione le variabili (che, ad un primo approccio, appaiono tra loro scorrelate), rappresenta solamente un “sleeping giant in a rackety world”[3].

Di conseguenza, la semplice possibilità di raccogliere o di avere accesso a grandi serie di dati non è sufficiente per produrre un risultato utile e concreto: risulta assolutamente imprescindibile l’esistenza di un legame tra le tecnologie al fine di trasformare i Big Data in informazioni veramente in grado di predire e di guidare verso le decisioni migliori[4].

A riguardo è stato fatto notare che

 

“I Big Data rappresentano una raccolta di dati così estesa in termini di volume, velocità e varietà da richiedere tecnologie e metodi analitici specifici per l’estrazione di valore o conoscenza.”[5]

 

Questa definizione permette di individuare le quattro componenti essenziali del concetto di Big Data, ovvero (i) informazione, in quanto, essenzialmente, i dati sono organizzati allo scopo di potere estrarne il loro valore informativo; (ii) tecnologia, attesa l’esigenza di dotarsi necessariamente di strumenti tecnologici specifici per il loro utilizzo;  (iii) metodologie analitiche di tipo specifico per l’analisi e l’estrazione di valore e, infine, (iv) impatto sociale in quanto i Big Data impattano a diverso titolo sulle nostre vite quotidiane, creando (o proponendosi di creare) valore aggiunto.

Tra l’altro, con riguardo all’utilizzo di metodologie non tradizionali, i processi decisionali risultano totalmente o in parte data-driven per consentire di arrivare a decisioni in tempi rapidi secondo valutazioni oggettive, solide e sistematiche.

L’automazione delle decisioni, dunque, deve obbligatoriamente passare per una convergenza dei mezzi tecnologici per poter essere agile e veloce come richiede il mercato odierno[6].

Peraltro, un tema che sta animando un acceso dibattito in tutte le democrazie occidentali è rappresentato – oltre dalle criticità poste per l’aspetto della tutela della privacy – dall’utilizzo dei Big Data (e, in generale, dei nuovi strumenti tecnologici connessi ad Internet) quale strumento per la realizzazione di modelli innovativi anche nel settore pubblico[7].

La ricerca di nuove forme di coinvolgimento dei cittadini nelle scelte di governo e nella ridefinizione dei rapporti tra utenti e Pubblica Amministrazione ha portato all’elaborazione di un quadro normativo nuovo e la creazione di strumenti innovativi (come regolamenti e prassi operative) in grado di implementare l’utilizzo delle moderne tecnologie per la cura concreta dell’interesse pubblico al fine di consentire ai cittadini di partecipare sinergicamente alla gestione della res publica in collaborazione non soltanto con in pubblici poteri, ma anche con altri soggetti che ne condividono gli stessi obiettivi[8].

In altri termini, l’utilizzo delle tecnologie informatiche e telematiche nella gestione dei processi amministrativi (sia interni ai singoli uffici, sia nei rapporti con gli utenti) ha il potenziale per provocare una trasformazione – in alcuni casi, anche di vasta portata – della relazione tra il pubblico, da una parte, e gli Stati e le rispettive autorità di governo, dall’altra, nonché di rendere maggiormente trasparente ed efficiente l’azione della Pubblica Amministrazione[9].

In tal senso, l’evoluzione dalle tecniche di e-government (inteso come implementazione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione da parte della Pubblica Amministrazione) a quelle di e-governance (inteso come complesso di principi, meccanismi, regole e delle loro relazioni rivolto a semplificare la vita dei funzionari pubblici e dei cittadini) può essere vista, in termini semplificati, come uno sviluppo dei metodi di pianificazione pubblica che destinano un maggior potere agli attori privati i quali sono incentivati a collaborare in maggior numero e più attivamente con l’Amministrazione, partecipando a dibattiti e progetti comuni e fornendo un prezioso contributo di idee e di esperienze.

L’effetto principale della digitalizzazione del sistema pubblico è così rappresentato dalla possibilità di riorganizzare i servizi e le informazioni detenute dai pubblici poteri con evidenti benefici a favore della cittadinanza, nella riduzione dei costi di accesso alle informazioni e nelle tempistiche di erogazione dei servizi, oltre alla possibilità di sviluppare innovazione nel riutilizzo dei dati raccolti.

Tuttavia, al fine di promuovere queste dinamiche virtuose, occorrono sistemi digitali interoperabili su larga scala in un quadro normativo che faciliti l’accesso e lo scambio delle informazioni[10].

Nonostante alcuni passi importanti sulle finalità da perseguire nella valorizzazione del patrimonio informativo pubblico, le politiche nazionali appaiono ancora mere norme programmatiche da riempire di contenuti nella successiva adozione di provvedimenti attuativi, troppo incentrate sui benefici (attesi) dalla digitalizzazione del settore pubblico e circoscritti all’assenza di incentivi per una reale innovazione.

Come superare allora gli ostacoli esistenti e incoraggiare la trasformazione digitale?

Anzitutto, nel ricorso prevalente allo strumento dell’Intelligenza Artificiale.

A titolo esemplificativo, le città di Amsterdam e di Helsinki stanno adottando dei registri dell’Intelligenza Artificiale allo scopo di rendere trasparenti gli elenchi degli algoritmi da loro utilizzati e fornire così informazioni trasparenti circa la loro logica di funzionamento[11]. Si tratta, evidentemente, di versioni ancora in fase di sperimentazione e che dovranno essere migliorate in base al continuo dialogo con i cittadini e le diverse associazioni di categoria, ma che permetteranno agli utenti, già in un prossimo futuro, di accedere ad informazioni comprensibili e aggiornate e comprendere come gli algoritmi stanno influenzando le loro vite così da assicurare, al contempo, un esercizio consapevole del diritto di conoscere il funzionamento dei sistemi di raccolta dei loro dati personali.

Tuttavia, a questi registri potranno concretamente accedere solo coloro che saranno dotati di conoscenze e capacità digitali e, dunque, tale sistema, nella sua concreta attuazione, potrà accentuare il digital devide di una parte della popolazione cittadina o, in misura più grave, potrebbe aumentare le discriminazioni. Il rischio è quello di un arretramento delle garanzie dei cittadini al cospetto dei pubblici poteri nell’utilizzo di algoritmi che risultano ancora troppo opachi o incomprensibili[12].

Ciò nonostante, l’Intelligenza Artificiale e le sue applicazioni costituiscono per tutti noi – singolarmente e, in generale, per l’intera comunità dei consociati – una occasione di crescita e di sviluppo, non soltanto dal punto di vista economico, ma anche, e soprattutto, per l’impatto sul progresso sociale e culturale[13].

Senza dubbio, attesa la sua natura pervasiva, l’Intelligenza Artificiale espone maggiormente ad una serie di rischi e di pericoli, ma una innovazione è dirompente e profonda quando pone nuove sfide per la società e gli individui sul piano della maturità e di un suo utilizzo responsabile[14].

Purtroppo, spesso i rischi e i pericoli vengono sottovalutati o estremizzati con l’effetto che, specialmente coloro che vedono nelle nuove tecnologie digitali un rischio, immaginano che detti problemi possano essere risolti (o quanto meno contenuti) agendo ciecamente sul lato della repressione, del controllo e del divieto. Si tratta di tentativi sterili che hanno il duplice effetto di essere sostanzialmente inefficaci o, peggio, dannosi.

Come evitare, allora, che la cittadinanza digitale sia un percorso esclusivo destinato ai soli “digital natives”[15]?

Tim Cook, CEO della Apple, nel discorso tenuto nel giugno del 2017 ai neolaureati del Massachusetts Institute of Technology (MIT) ricordava che:

 “Technology is capable of doing great things. But it does not want to do great things. It does not want anything. That part takes all of us. It takes our values and our commitment to our families and our neighbours and our communities, our love of beauty and belief that all of our faiths are interconnected, our decency, our kindness.”[16]

 

La cittadinanza digitale non può prescindere quindi dall’empatia, dalla compassione, dal sentirsi parte di una comunità inclusiva e aperta: un utilizzo consapevole della tecnologia può migliorare l’efficienza delle imprese, i processi interni della Pubblica Amministrazione e la vita stessa delle persone, permettendo al contempo ai cittadini di esprimere al meglio il loro ruolo attivo nella sfera pubblica, esercitare i loro diritti, ma permettendo anche di adempiere in maniera più semplice ai loro doveri.

Queste considerazioni sulla necessità di un’etica dell’Intelligenza Artificiale sono state recentemente al centro di un report a cura dell’Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali (EFRA) che ha esaminato alcuni casi concreti relativi al modo in cui gli enti pubblici e privati stanno ricorrendo, all’interno dello scenario dell’Unione europea, all’uso degli strumenti di Intelligenza Artificiale[17].

Il report rappresenta uno degli strumenti riconducibili alla azione intrapresa, già nel febbraio 2020, dalla Commissione europea con la pubblicazione del Libro Bianco sull’Intelligenza Artificiale in ambito unionale in cui si evidenziava che la regolamentazione di riferimento dovrebbe essere edificata in sintonia con i principi e i valori di garanzia dei diritti umani fondamentali[18].

A partire da questo ambito, il fulcro principale del report consiste, pertanto, nel considerare l’impatto dei diritti fondamentali nell’impiego degli strumenti di Intelligenza Artificiale, anche alla luce delle esigenze e delle sfide riconducibili alla gestione dell’emergenza sanitaria dovuta alla crisi pandemica da Covid-19.

Lo studio rivela la difficoltà di conoscere completamente il funzionamento delle tecnologie diIntelligenza Artificiale e di una sostanziale incapacità degli apparati coinvolti di comunicare all’esterno come tali meccanismi operino e, quindi, anche della difficolta degli utenti di accedere ad appropriate ed effettive forme di tutela. Questa lacuna è parte di un più ampio deficit di conoscenza riguardante il quadro normativo di riferimento, anche – e soprattutto – in ragione della sua sostanziale opacità.

Infine, l’Agenzia propone una serie di azioni correttive finalizzate ad assicurare una migliore coesione ed integrazione fra gli studi sui diritti fondamentali e quelli sull’Intelligenza Artificiale quali, ad esempio, una maggiore semplificazione dei profili regolatori (con riferimento agli aspetti sia contenutistici sia procedurali) al fine di renderli meglio conoscibili e più prontamente adattabili all’evoluzione tecnologica, nonché per consentire che le integrazioni necessarie (come quelle per la protezione dei diritti fondamentali) si collochino in un contesto più adeguato e, infine, una intensificazione degli studi sull’etica nell’uso dell’Intelligenza Artificiale e la valorizzazione, in ambito sia informatico che giuridico, dei risultati da essi prodotti[19].

Al di là delle discussioni morali e dei regolamenti di confine, il tema del rapporto tra gli strumenti di Intelligenza Artificiale e i sistemi sociali e giuridici, fino a pochi anni fa limitato ad una sfera ristretta di specialisti del settore, oggi rappresenta un argomento centrale che sta generando molteplici interrogativi e accesi dibattiti anche in considerazione delle sfide “adattive” che tale fenomeno comporta.

Lo stesso Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2270 dell’8 aprile 2019, ha dimostrato di considerare positivamente l’uso nei procedimenti amministrativi delle nuove tecnologie informatiche e degli algoritmi purché coerenti con i principi di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa e con il principio costituzionale del buon andamento[20].

L’utilizzo degli algoritmi e delle procedure automatizzate viene considerato come un atto amministrativo informatico dal momento che consiste in una regola amministrativa costruita dall’uomo e, in quanto tale, necessariamente sottostante a principi di ragionevolezza, proporzionalità, pubblicità e trasparenza: la regola tecnica che governa ciascun algoritmo resta una regola amministrativa generale, costruita dalla mente umana e non dalla macchina, per essere poi (solo) applicata da quest’ultima, anche se ciò avviene in via esclusiva[21].

Pertanto, è un dato di fatto che l’evoluzione tecnologica continua a progredire incessantemente, consentendo, da un lato, di ottenere un miglioramento nello svolgimento di varie attività quotidiane e, dall’altro, un migliore e più efficace esercizio dei propri diritti, modificando, al contempo, la struttura sociale della stessa società.

Ci si è, dunque, chiesti se oltre ad ottenere progressivamente una cittadinanza digitale, l’avanzamento delle tecnologie renda possibile il riconoscimento di una vera e propria “cittadinanza artificiale”.

Non è un caso che il 25 ottobre 2017, presso il Future Investment Summit sull’economia e l’innovazione tenutosi a Riyad, Sophia, un robot antropomorfo dalle fattezze femminili prodotto dalla Hanson Robotics, ha ottenuto la cittadinanza saudita, rendendola il primo caso nella storia in cui una Intelligenza Artificiale riceve un riconoscimento di questo genere[22].

È verosimile che il governo dell’Arabia Saudita intendesse semplicemente promuovere e attrarre gli investimenti nel campo dell’Intelligenza Artificiale, ma l’analisi della vicenda fa emergere un particolare insolito: tradizionalmente sono le persone ad essere cittadini e non le macchine, ma Sophia è ora equiparata, almeno sul piano giuridico, a tutti gli effetti ad una persona[23].

Studiosi e giuristi si domandano se i robot vadano considerati come meri strumenti dei quali devono rispondere i loro produttori oppure, al contrario, se essi, a seconda del grado di autonomia raggiunto in futuro, dovranno godere di uno status speciale che attribuisca loro responsabilità, ma anche diritti[24].

Rimangono così di una allarmante attualità le parole pronunciate dal robot durante l’evento The Future of Everything promosso nel 2017 dalle Nazioni Unite: “AI is here to stay”[25].

Sorge allora l’interrogativo se noi, come società, siamo pronti ad accogliere tale innovazione nelle nostre vite di cittadini digitali.

Piero De Rosa

 

 

 

 

Note bibliografiche:

Asaro P. (2008) How Just Could a Robot War Be? In Current Issues in Computing and Philosophy, ed. K. W. Adam Briggle and P. A. E. Brey, 50–64. Amsterdam: IOS Press.

Bessen J. (2016), The Automation Paradox, The Atlantic.

Burr C. & Cristianini N. (2019) Can machines read our minds?, Minds and Machines, vol. 29.

Floridi L. (2017) La quarta rivoluzione: Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Raffaello Cortina Editore.

Hal R. Varian (2014) Beyond Big Data Business Economics, vol. 49, issue 1, 27-31.

IRP Coalition (2010) “Human Rights at the 2010 Regional IGFs: A Global Report”.

Russel S., Dewey D. Tegmark M. (2015) Research Priorities for Robust and Beneficial Artificial Intelligence.

Russell S., Norvig P. (2016) Artificial Intelligence. A Modern Approach (III ed.), Prentice Hall.

Sartor G. (2016) L’informatica giuridica e le tecnologie dell’informazione, Giappichelli Editore.

Sartor G. (2017) Human Rights and Information Technologies, The Oxford handbook on the law and regulation of technology, Oxford: Oxford University Press.

 

[1] Lo scenario tecnologico che caratterizzava l’apertura del XX secolo era focalizzato sullo sviluppo dell’industria dei trasporti (automobili, treni, navi) e delle sue infrastrutture (strade, gallerie, ponti, ecc.). Al contrario, lo scenario del XXI secolo è quello della c.d. “società dell’informazione”, attraverso l’emersione di nuovi attori che investono nelle nuove infrastrutture della Rete e contribuiscono a rendere sempre più disponibile la larghezza della banda. Sul punto, cfr. Consulting Andersen (a cura di), 2000, L’economia delle 24 ore. Competere nei settori chiave senza limiti di tempo, Edizioni Olivares.

[2] L’interesse catturato dai Big Data è “esploso” a partire dal 2011 e soltanto recentemente è stato superato in popolarità da argomenti più specifici come quello dell’apprendimento automatico (machine learning).

[3] Cfr. Lopez I., 2013, When Big Data Wakes the Sleeping Giant, Datanami.

[4] Le machine, e in particolare l’Intelligenza Artificiale connessa ai Big Data, non costituiscono affatto una minaccia, ma offrono la straordinaria opportunità di stabilire una alleanza, una collaborazione, in grado di potenziare le capacità umane e la produttività aziendale. L’utilizzo della tecnologia a servizio dell’uomo (e non viceversa) consente di sfruttare dette capacità computazionali e realizzare, in tempo reale, l’elaborazione e l’analisi di grandi set di dati da fonti plurime, non soltanto per incrementare l’efficienza e la produttività, ma anche per abilitare nuove esperienze per i clienti e offrire servizi esclusivi più corrispondenti a specifiche esigenze. Per una analisi su questi temi, cfr. De Mauro A., 2019, Big Data Analytics: Analizzare e interpretare dati con il machine learning, Apogeo Editore.

[5] Cfr. De Mauro A., Greco M., Grimaldi M., 2016, A Formal definition of Big Data based on its essential features, in Library Review, vol. 65, n. 3, pp. 122-135.

[6] Le applicazioni possibili grazie all’integrazione delle tecnologie sono pressoché infinite: si può, ad esempio, elaborare il linguaggio naturale per estrarre significato da migliaia di conversazioni on-line e analizzare il customer sentiment verso un determinato brand consentendo così ai reparti di marketing di attuare le azioni necessarie, si possono prevedere particolari avvenimenti – la rottura di un particolare macchinario o l’occupazione di un determinato spazio – fino all’individuazione di correlazioni in grado di evidenziare la nascita di possibili nuovi trend di mercato per guidare l’azienda nelle scelte strategiche di business.

[7] I benefici che l’Internet of Things (IoT) potrà apportare nella vita quotidiana di ogni individuo, nonché nel settore pubblico, sono molteplici e concernono, a titolo esemplificativo, la medicina, i trasporti, l’energia. L’altra faccia della medaglia è però rappresentata dai maggiori rischi per la privacy e la sicurezza dei consumatori e degli utenti derivanti dall’impiego di tale tecnologia. La Commissione UE ha, in particolare, osservato che una gestione scorretta delle informazioni raccolte attraverso l’Internet degli oggetti può compromettere la riservatezza dei dati personali o commerciali degli individui, ad esempio, attraverso il trattamento non dichiarato delle informazioni raccolte e memorizzate tramite i predetti dispositivi o la divulgazione dei dati personali degli utenti a soggetti terzi senza che gli interessati ne siano a conoscenza né abbiano prestato il loro consenso. Cfr. Commissione europea, 18 giugno 2009, L’Internet degli oggetti. Un piano d’azione per l’Europa, COM(2009), 278 def., 11.

[8] Il fenomeno tecnologico non è più solo questione di privacy, ma appare legato allo stesso esercizio della libertà di manifestazione del pensiero. Grazie ad Internet, infatti, il diritto di libertà informatica “è diventato una pretesa di libertà in senso attivo, non libertà da ma libertà di, che è quella di valersi degli strumenti informatici per fornire e ottenere informazioni di ogni genere. È il diritto di partecipazione alla società virtuale, che è stata generata dall’avvento degli elaboratori elettronici nella società tecnologica: è una società dai componenti mobili e dalle relazioni dinamiche, in cui ogni individuo partecipante è sovrano nelle sue decisioni”. Cfr. Frosini V., 2010, L’orizzonte giuridico dell’Internet, cit., 275; ID., La democrazia nel XXI secolo, Liberilibri, Macerata.

[9] Si pensi, ad esempio, alla riduzione dei costi e al miglioramento della tipologia e della qualità dei servizi erogati ai cittadini. Cfr. Pedrazzini L., E-government e identità digitale, in Ballerini M., De Pra M., Indovina B. (a cura di), 2016, Informatica Giuridica, Egea, Milano.

[10] I dati pubblici sono un bene comune e una risorsa del Paese in grado di produrre valore migliorando i servizi, creandone di innovativi e contribuendo a creare nuovi modelli di business, competenze e posti di lavoro. Oggi la maggior parte degli enti pubblici gestisce dati e informazioni in maniera poco strutturata, aperta e interoperabile, ciò ne rende difficile la condivisione sia tra amministrazioni che con cittadini e imprese.

[11] Cfr. https://algoritmeregister.amsterdam.nl/

[12] Essendo il risultato di un procedimento automatico, l’algoritmo è contenuto in una “scatola nera” (o black box) i cui meccanismi di calcolo non sono predefiniti, e possono essere complicati fino al punto da divenire incomprensibili. Si veda, a riguardo, cfr. Della Porta F., 2021, Una breve storia della globalizzazione, Ronzani Editore, Dueville.

[13] Fino a pochi anni fa il principale problema degli scienziati coinvolti nella ricerca relativa agli impieghi dell’Intelligenza Artificiale era quello di poter dimostrare la realistica possibilità di utilizzare sistemi intelligenti per usi comuni; oggi questo obiettivo è stato ampiamente raggiunto e ci si chiede spesso quale possano essere le future applicazioni.

[14] Cfr. Fuggetta A., 2018, Cittadini ai tempi di Internet. Per una cittadinanza consapevole nell’era digitale, Franco Angeli Edizioni.

[15] L’espressione è stata coniata dallo scrittore statunitense Marc Prensky nell’opera intitolata, per l’appunto, Digital Natives, Digital Immigrants e ha indicato la generazione di chi è nato e cresciuto in corrispondenza con la diffusione delle nuove tecnologie informatiche e, quindi, si tratta, in genere, di persone, soprattutto di giovani, che non hanno avuto alcuna difficoltà a imparare l’uso di queste tecnologie. Cfr. Prensky M., 2001, Digital Natives, Digital Immigrants, MCB University Press, Vol. 9 No. 5.

[16] La trascrizione integrale del discorso è consultabile al seguente collegamento: https://qz.com/1002570/watch-live-apple-ceo-tim-cook-delivers-mits-2017-commencement-speech/

[17] Qui il report della Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali: https://fra.europa.eu/en/publication/2020/artificial-intelligence-and-fundamental-rights

[18] Il Libro Bianco della Commissione europea è consultabile al seguente collegamento: https://op.europa.eu/it/publication-detail/-/publication/ac957f13-53c6-11ea-aece-01aa75ed71a1

[19] In merito all’applicazioni dei principi etici agli strumenti di Intelligenza Artificiale, cfr. D’Angelosante M., 2021, Garanzia dei diritti fondamentali e uso degli strumenti di Intelligenza Artificiale, Istituto di ricerche sulla Pubblica Amministrazione (IRPA).

[20] Il testo della sentenza è consultabile al link http://www.medialaws.eu/wp-content/uploads/2019/11/Consiglio-di-Stato-sez.-VI-8-aprile-2019-n.-2270.pdf

[21]  In ogni caso gli algoritmi non possono essere usati per decisioni aventi natura prettamente discrezionale e devono, comunque, essere sottoposti al pieno sindacato del giudice amministrativo.

[22] La notizia è qui consultabile https://www.arabnews.com/node/1183166/saudi-arabia

[23] A ciò aggiungasi che Sophia, contrariamente a tutte le altre donne dell’Arabia Saudita, può muoversi liberamente senza velo, generando, al contempo, accese discussioni anche in patria.

[24] In merito, cfr. Nida-Rumelin J., Weidenfeld N., 2019, Umanesimo digitale: Un’etica per l’epoca dell’Intelligenza Artificiale, Franco Angeli Editore.

[25] Cfr. https://news.un.org/en/story/2017/10/568292-un-robot-sophia-joins-meeting-artificial-intelligence-and-sustainable

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