Google rinuncia ai cookie di terze parti: quale sarà il futuro del digital marketing?

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Google ha annunciato che entro il 2022 il browser Chrome non supporterà più i cookie di terze parti usati per tracciare la navigazione web degli utenti. La stessa scelta era stata già fatta molto prima da Firefox, ma anche da Safari che con il lancio di Safari 11 ha limitato il monitoraggio dei cookie dal 2017 e in ultimo da Edge che, nella sua nuova versione, prevede tre profili preimpostati in base ai permessi concessi (“Di base”, “Bilanciato” e “Rigido”) al recepimento di notifiche e cookie di terze parti.

Tuttavia, rappresentando Google Chrome circa il 64% del mercato globale dei browser, probabilmente assisteremo questa volta ad un effetto dirompente sul settore del digital advertising. La capacità degli esperti di marketing di tracciare le abitudini degli utenti attraverso il web è diventata un aspetto essenziale per le strategie di marketing aziendali. Il colosso della tecnologia muove verso un approccio più orientato alla privacy che mette quindi in discussione i modelli di business tradizionali.

La soluzione si chiama Privacy Sandbox e consentirà di raccogliere i dati e le informazioni relativi agli utenti dei prodotti e dei servizi digitali con modalità più rispettose della protezione dei dati personali degli interessati. Si tratta in realtà di un’iniziativa più ampia dichiarata ad agosto 2019 da Google e volta “a sviluppare una serie di standard aperti per migliorare in maniera incisiva la protezione dei dati personali in rete, con l’obiettivo di rendere il Web più sicuro e “privato” per gli utenti”. La Sandbox (che significa “ambiente protetto”), mira infatti a “ricostruire” la fiducia degli utenti nella digital economy, diminuita proprio a causa del massiccio utilizzo di cookie di terze parti e dalla percezione dell’utente di essere continuamente monitorato in tutte le azioni compiute online.

Google assicura che tale strumento sarà in grado comunque di soddisfare le esigenze di tracciamento dei digital advertiser senza però trattare dati personali o, comunque, limitandone al minimo l’utilizzo, sfruttando diverse tecniche avanzate di raccolta e analisi dei dati. In particolare, la nuova soluzione prospettata da Google si compone di diverse “API” con varie caratteristiche:

– alcune consentono di limitare la quantità di informazioni relative ai singoli utenti ottenibili dai siti web attraverso l’assegnazione di un “budget” a ciascuno di essi e, una volta esaurito il budget, l’API previene la raccolta di ulteriori informazioni;

– altre ancora consentono di sapere se l’utente ha effettivamente acquistato il prodotto promozionato senza dover necessariamente risalire alla sua identità.

– Inoltre, la Privacy Sandbox prevede la conservazione e l’analisi dei dati direttamente sul browser e non sui dispositivi degli utenti, come avviene con i cookie: i dati e le informazioni dei nostri device saranno infatti trasmessi al browser in forma anonima e successivamente aggregati al fine di poter eseguire le analisi comportamentali e consentire alle varie API di operare efficacemente.

È evidente che l’introduzione della Sandbox costringerà le aziende e altre organizzazioni a modificare radicalmente le proprie strategie di marketing e gli strumenti con cui queste verranno attuate.

È ragionevole presumere che sempre più aziende ricorreranno a cookie proprietari e soluzioni che prediligano l’utilizzo dei first-party, ossia dati raccolti direttamente dall’utente e non ottenuti da terze parti, al fine di sopperire alla “carenza” di dati personali. Probabilmente si inizierà a propendere per un approccio “omnichannel”, ossia finalizzato a massimizzare la raccolta di dati presso tutti i “touchpoint” con l’utente finale così da ottenere una panoramica completa della propria clientela e di valorizzare al massimo informazioni già possedute. Un nuovo modello di business che però potrebbe per molte aziende rivelarsi oneroso e di non semplice attuazione, in quanto presuppone la capacità di collegare, analizzare e ricondurre al singolo utente informazioni raccolte in contesti estremamente differenti, (sito web/nell’app, programmi di loyalty, i dati relativi alle interazioni con le pubblicità online, survey, contest, ecc).

È vero anche che, oltre alle forti perplessità sollevate da parte degli advertiser in merito all’impatto dell’introduzione della Privacy Sandbox sul mercato della pubblicità online, anche alcune autorità antitrust si sono attivate per verificarne i potenziali effetti anticoncorrenziali, temendo che la nuova soluzione possa pregiudicare eccessivamente i publisher e, al contempo, minare la concorrenza nel digital advertising, rafforzando ulteriormente la posizione di Google.

L’installazione dei cookie è uno dei pilastri del marketing, ma questo settore economico sarà fortemente impattato anche dall’avvento del nuovo Regolamento e-privacy che prevede (al momento come suggerimento e non come obbligo), tra le altre cose, di consentire all’utente di operare la scelta sui cookie nel momento in cui viene aperto il browser e non di ripeterla per ogni sito: è evidente che molti dei principali provider si stiano muovendo proprio in tal senso.  Indipendentemente quindi dalle scelte dei provider che predominano nel panorama della digital advertising, ogni azienda dovrà attendersi che le venga richiesto di rinnovare e rimodulare la propria marketing strategy nei prossimi anni.

Rosanna Celella

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