La Digital Health: breve analisi della nuova frontiera della medicina

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Il veloce incremento delle nuove tecnologie e la loro pervasività in molteplici settori della vita quotidiana, grazie anche all’avvento prossimo del cd. 5G che consentirà la connettività anche in territori privi di infrastrutture, hanno incontrato anche il comparto della salute, inaugurando la digitalizzazione sanitaria (Digital Health o eHealth), che consiste, secondo la definizione della World Health Organization, nell’uso di tecnologie informatiche e di telecomunicazioni a vantaggio della salute umana, volta a fornire un’assistenza sanitaria sempre più personalizzata (patient centered) e che può estrinsecarsi attraverso molteplici attività, come la richiesta di accesso in tempo reale alle informazioni, dato il consistente aumento dei dati socio-sanitari (big data).

Lo sviluppo del settore del Digital Health è testimoniato anche dalla crescita di tale settore nel mercato mondiale della salute (Global Markeyt Insight, 2019, Varnai et al., 2018) ed amplificato grazie all’uso massivo di smartphone, tablet e altre piattaforme mobili alla luce del rapido miglioramento delle infrastrutture e delle iniziative governative favorevoli all’utilizzo delle tecnologie digitali anche in ambito sanitario.

Probabilmente non ci accorgiamo con immediatezza che indossare dispositivi (wearable) connessi alla rete, in grado di monitorare taluni dati importanti per calcolare, ad esempio, i passi compiuti in una giornata, le calorie consumate, la quantità e qualità del sonno e altri parametri vitali, rappresentano uno dei molteplici modi di utilizzo e di trasmissione di dati rilevanti ed utili anche sotto il profilo sanitario.

Si pensi solo al caso dell’Apple Watch che è stato registrato negli USA dalla Food and Drug Administration (FDA) come dispositivo medico, in grado di rilevare episodi di fibrillazione arteriale grazie all’esecuzione di un elettrocardiogramma a una derivazione.

A tal proposito, con la Direttiva 2007/47/CEE-MDD, è stato sancito che anche un software può essere considerato alla stregua di un dispositivo medico, sia quando incorporato in un dispositivo sia se usato da solo e, con il Regolamento UE 2017/745/CE, è stata estesa la definizione di dispositivo medico, includendo predizione e prognosi tra le finalità considerate, includendo anche software di calcolo, mancando, tuttavia, un esplicito inserimento delle terapie digitali.

Sebbene le terapie digitali non trovino ancora una ben definita collocazione normativa, le declinazioni dell’utilizzo di tali dati anche da trasmettere, eventualmente, al medico curante, per realizzare un vero e proprio monitoring digitale e, quindi, una vera e propria terapia digitale, sono molteplici, basti pensare al Parkinson Smartwatch, ovverosia al PD-Watch (Parkinson’s disease watch), dispositivo medico che, funzionando come un holter, consente la registrazione e l’elaborazione dei dati riguardanti i movimenti corporei e tremori di pazienti con sintomi motori della malattia di Parkinson.

Con la registrazione dei dati, il medico può apprendere lo stato motorio dei pazienti, apprezzare la severità dei sintomi e la loro variazione, fornendo un ausilio per affinare il piano terapeutico dei pazienti e ridurre i sintomi e le complicazioni motorie.

Si ricordi, ancora, One Drop, quale strumento che, oltre alla funzione di glucometro wireless e di controllo e gestione del diabete, consiste in una piattaforma, disponibile su iOS e Android, di interscambio di informazioni per trattare i pazienti in maniera avanzata e personalizzata, consentendo di visualizzare i dati di glicemia e confrontare la loro evoluzione nel tempo, tenere traccia della variazione di peso e di stabilire un’interazione con Apple Salute, Google Fit, Dexcom e Fitbit per incrociare i dati su One Drop con quelli relativi al fitness, nutrizione e ad altre informazioni utili per la salute generale.

Un altro interessante esempio proviene dalla gamification, che consente di applicare elementi tipici del gioco o videogioco all’ambito medico, come nel caso di Akili Interactive, gioco sviluppato per bambini affetti da ADHD o disturbo da deficit di attenzione ed iperattività, che, durante l’emergenza COVID-19, è rientrato nelle linee guida emanate da FDA per espandere la disponibilità e facilitare l’utilizzo di digital health, evitando il rischio di contagio.

Il concetto alla base di tale strumento è quello di proporre, attraverso il gioco, terapie specifiche per i bambini, stimolando l’utente a livello sensoriale e motorio.

La digitalizzazione in ambito sanitario sta modificando, dunque, sia l’organizzazione interna degli ospedali sia l’approccio e l’aspettativa dei pazienti verso il mondo della sanità (European commission: Tools and methodologies to assess the efficiency of health care services in Europe, 2019).

Come riportato dall’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano (http://www.osservatori.net/it_it/osservatori/innovazione-digitale-in-sanita), la digitalizzazione sanitaria sta svolgendo un ruolo fondamentale sulla gestione delle reti territoriali (integrazione ospedale-territorio), grazie all’introduzione di soluzioni per la gestione di percorsi di prevenzione, per la presa in carico (Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali) informatizzata dei pazienti e per l’interscambio di dati e documenti su pazienti (Patient Workflow Management e Patient Relationship Management).

Tale percorso risulta certamente accelerato per effetto dell’evoluzione del cittadino, sempre più connesso alla rete che, sempre più costantemente, richiede servizi online, tra cui l’accesso e la consultazione dei documenti clinici, la comunicazione con il medico di medicina generale e con gli specialisti e ciò anche perché è cambiato l’approccio del cittadino alla medicina, essendo sempre più attento alla prevenzione, al proprio stile di vita e a condividere con il medico i propri dati.

In tale contesto, le nuove discipline stanno favorendo la raccolta e l’elaborazione di grandi quantità di dati provenienti da sistemi informativi sanitari, da dispositivi medicali, dai pazienti/familiari, da applicazioni esterne (internet of things, telemedicina), contribuendo a fornire informazioni sullo stato di salute e sulla qualità della vita dei pazienti, in grado di prevedere eventuali risvolti di patologie e/o di terapie e di individuare tempestivamente cambiamenti fisiologici o patologici del paziente e di modulare per tempo scelte terapeutiche e farmacologiche.

Secondo uno studio svolto dall’istituto McKinsey (McKinsey Global Insitute, 2016, The Age of Analytics: Competing In A Data-Driven World, December 2016), allo stato attuale, un paziente, nella maggior parte dei casi, entra nel sistema sanitario solo quando gli viene diagnosticata una patologia.

Il percorso di cura non è ottimizzato tra i differenti nodi di una rete sanitaria, non tiene conto dell’esperienza del paziente, di eventuali similarità e/o potenziali classi di rischio, poiché, solitamente, i medici seguono procedure standard per tutti i pazienti con la stessa patologia e non hanno a disposizione molti dati sulla storia del paziente, delle caratteristiche personali, dei fattori comportamentali e non sussiste una rete di interazione tra il medico di medicina generale e lo specialista.

Dal canto loro, i pazienti hanno un assai limitato accesso alle informazioni cliniche e non sempre sono consapevoli dei fattori di rischio e sono poco attivi e partecipi al proprio percorso di cura, sebbene si stiano evolvendo da passive receiver a consumatori attivi di informazioni sulla salute.

Per contra, con l’intelligenza artificiale, vi è la possibilità di progettare strumenti di salute digitale per valutare potenziali rischi di evoluzione di determinate patologie, analizzare possibili effetti di trattamenti terapeutici e/o farmacologici su singoli pazienti, correlare i dati a disposizione, grazie alla capacità di immagazzinare ed elaborare grandi entità di dati e di informazioni su dispositivi medici e sistemi informatici (Politecnico di Milano: Osservatorio Artificial Intelligence, 2019-2020).

Nel I Libro Bianco “L’Intelligenza Artificiale al servizio del cittadino”, pubblicato dall’Agenzia per l’Italia Digitale (Agenzia per l’Italia Digitale, 2018), si riporta che tali tecnologie potranno garantire indiscutibili vantaggi di una “maggiore accessibilità ai servizi pubblici, favorendo notevole abbattimento dei loro costi, con vantaggi in termini di riduzione della spesa sociale, che potrà essere così riallocata. Sarà possibile potenziare con adeguati automatismi molti procedimenti, offrendo ai cittadini la possibilità di relazionarsi in maniera più agile, efficace e personalizzata. Di questo beneficeremo tutti, inclusi anziani, disabili e cittadini appartenenti alle categorie disagiate”.

Tali approcci, in ambito sanitario, impatteranno sempre di più nello sviluppo di applicazioni digitali per la diagnosi, la cura e il monitoraggio dello stato di salute dei pazienti, attraverso misurazioni di parametri biomedicali da trasmettere al medico, supporto alla diagnosi, gestione personalizzata dei piani di cura, organizzazione logistica delle attività delle strutture sanitarie.

Tali strumenti, basati su tali tecnologie, supporteranno il medico nel decision making e coadiuveranno nella gestione dei percorsi di prevenzione, diagnosi e cura “personalizzati” sui reali bisogni del paziente (attivo e consapevole), migliorandone la presa in carico “precoce” e il governo clinico del percorso diagnostico-terapeutico, segmentazione intelligente di pazienti, profilando specifiche classi di rischio e di similarità, tra quelle potenzialmente soggette allo sviluppo di determinate condizioni, in modo che possano essere prontamente indirizzati al migliore percorso di cura e monitoraggio, anticipando eventuali complicazioni.

Ciò in quanto la malattia è una modalità differente dell’essere persona e, infatti, come ricorda il prof. Adriano Pessina “la questione della disabilità affonda le sue radici nella condizione umana (…) alla relazione del soggetto con l’ambiente: significa che due persone con la stessa disabilità, in contesti differenti, possono sviluppare le proprie capacità in modo diverso. La conclusione è che, pur avendo la stessa patologia, hanno disabilità diverse”.

Lo sviluppo delle tecnologie, in tale ambito, ha avuto la valenza altresì di incidere sul cambiamento nella comunicazione medico-paziente, da tipo paternalistico ad un tipo condiviso e partecipato.

Non si sottaccia che la fruibilità delle nozioni mediche sulla rete Internet abbia offerto ampie potenzialità di migliorare il benessere dell’individuo, consentendo un accesso senza precedenti a informazioni sanitarie, prodotti e servizi.

Nel 2001, Bette Crigger, promotore dell’e-health Code of Ethics, affermava che “Internet rende possibili forme di comunicazione e modalità pratiche che sollevano questioni etiche, sociali e giuridiche. Solo ora si sta cominciando a sviluppare una chiara e condivisa comprensione di come partecipare all’ambiente della salute online. Solo ora si comincia a pensare attentamente a quali vantaggi e opportunità possono essere tecnicamente possibili ma ve ne sono alcuni che non dovremmo perseguire nel nuovo mondo dell’eHealth” (cfr. www.ihealthcoalition.org/ethics/codefoundations.html).

Si può affermare, dunque, che l’avvento dell’informatizzazione nella medicina, attraverso strumenti quali anche gli Electronic Health Record (EHR), ovverosia le cartelle e fascicoli sanitari elettronici, e i Personal Health Record (PHR), intesi come servizi personalizzati, con l’obiettivo di aumentare le potenzialità di accesso del paziente ai propri dati personali, ha contribuito al passaggio da un approccio centrato sull’azione del medico a quello centrato sul paziente, come protagonista della sua storia clinica e delle sue scelte e decisioni sulle cure.

D’altro canto, se si implementa il controllo del paziente sulle proprie informazioni inserite nell’EHR e nel PHR, tutelando la scelta informata e condivisa del paziente, il medico potrebbe sentirsi meno autonomo nell’esercizio delle proprie competenze professionali e nel processo di decision making sui trattamenti medici, con potenziale compromissione del rapporto medico-paziente, derivandone una tensione tra i due principi di autonomia professionale e partecipazione e/o condivisione delle informazioni da parte del paziente.

Nel bilanciamento tra autonomia e scelte informate e soprattutto per non correre il rischio della sostituzione dell’high touch con l’high tech in medicina, si tende ad utilizzare il paradigma dell’autonomia relazionale, che prevede una ragionevole condivisione della storia clinica del paziente con il medico, ispirandosi al rispetto dei quattro principi base dell’etica biomedica: a) il principio dell’autonomia, con il conseguente obbligo di tutelare le persone la cui autonomia è limitata; b) il principio della beneficenza, che esige la sistematica valutazione dei rischi e dei benefici in maniera tale che i rischi siano adeguatamente giustificati dai benefici attesi; c) il principio della non maleficenza che sottolinea l’importanza di non causare danni; d) il principio della giustizia nella ripartizione dei rischi e dei benefici, con l’obbligo di garantire l’equa distribuzione delle risorse in sanità.

Questi principi rivestono, nell’ambito della informatizzazione della sanità, nonché nel rapporto medico-paziente, lo stesso ruolo guida a loro assegnato nel gestire i dilemmi morali in ambito clinico, soprattutto per quel che riguarda l’uso e l’accesso online ai dati e alle informazioni mediche del paziente.

Pur riconoscendo la indiscutibile utilità e l’ampia portata di tali strumenti ed innovazioni, che possono costituire un alleato per la conservazione di un buon stato di salute, non può non evidenziarsi ancora un vulnus normativo puntuale circa le terapie digitali e l’importanza di individuare un più sicuro sistema di trattamento dei dati sanitari forniti attraverso i precitati dispositivi, dovendo tenere a mente, in ogni caso, a) l’operatività dell’art. 25 GDPR, secondo un’analisi effettuata by design e by default, per assicurare la sicurezza dell’acquisizione e del trattamento durante tutto il ciclo della “prestazione sanitaria”; b) l’individuazione del responsabile del trattamento ex art. 28 GDPR, con regole relative al trattamento e alle misure di sicurezza da introdurre ed implementare; c) l’aggiornamento del registro dei trattamenti, ex art. 30 GDPR, da integrarsi ad ogni nuovo trattamento, recante sempre l’informativa prevista dall’art. 13 GDPR, da sottoporre agli utenti/pazienti; d) la specificazione dei casi in cui è necessario raccogliere il consenso dell’utente/ paziente (se finalizzato alla diagnosi, assistenza o terapia sanitaria, non sarà necessario esprimere il consenso, diversamente, quando il trattamento ha finalità commerciali o di fidelizzazione e, quindi, diverse dalla telemedicina andrà raccolto il consenso dell’interessato).

Tiziana di Palma

 

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