Fake news e diritto all’informazione. Principi deontologici, libertà di parola e censura nel mondo dei social

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Giovedì 5 maggio ci incontreremo al Tribunale di Napoli con giornalisti e docenti di comunicazione per parlare di uno dei temi più caldi degli ultimi anni: fake news e diritto all’informazione. Il convegno vale 3 crediti e sarà trasmesso in diretta streaming. È possibile prenotarsi sulla piattaforma Riconosco (https://riconosco.dcssrl.it/).

Le fake news sono un argomento di straordinaria attualità. Quando si parla di fake news, ci si riferisce alla diffusione, in rete o a mezzo stampa, di notizie false, non autentiche o non verificate.

fake news

  1. Cosa sono le fake news

Recentemente, l’utilizzo sempre più frequente dei social network ha contribuito ad un ingigantimento del fenomeno: è chiaro che la disinformazione non nasca con i social, tuttavia ciò che con la rete si amplifica in misura esponenziale è la viralità con cui persino notizie palesemente false fanno il giro del web.

La stessa ri-condivisione in rete della notizia falsa, anzi, corrobora la convinzione da parte dei lettori che essa sia vera: si instaura così un circolo vizioso per il quale la diffusività dell’informazione le conferisce attendibilità e quanto più essa viene cliccata tanto più ottiene credibilità.

A ciò si aggiungano i meccanismi di pubblicità e sponsorizzazioni dei quali vivono molti siti web: il quadro diviene ancora più complesso.

Di fatto, la tendenza a informarsi soltanto da fonti inclini a confermarci nelle nostre pregresse convinzioni, ostacola la possibilità di riscontro su false notizie o credenze.

Abbiamo esempi concreti di come la diffusione di fake news influisca in maniera concreta nella quotidianità: si pensi, ad esempio, a tutte le notizie fuorvianti trasmesse con riguardo all’infezione da Covid-19. Particolarmente diffuse in Occidente, soprattutto per ciò che concerne le serrate campagne no-vax, la malainformazione sul Coronavirus ha colpito duramente anche l’Africa, dove ad esempio circolavano notizie di questa portata: “Una campagna di vaccinazione contro il Covid-19 guidata da occidentali avrebbe causato la morte di due bambini in Guinea”. E ancora “l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama avrebbe consigliato agli africani di non vaccinarsi”, secondo alcune di queste “informazioni” che hanno invaso il web con migliaia di condivisioni.

La portata del fenomeno è tale da aver dato vita ad un nuovo concetto: quello di infodemia”, ovvero epidemia di false informazioni.

In questo quadro, quale disciplina prevede la legge italiana per arginare la portata delle fake news?

Non vi sono ad oggi orientamenti consolidati.

A livello penale la disciplina di cui agli articoli 640, 656 e 661 c.p., rubricati rispettivamente “Truffa”, “Pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico” e “Abuso della credulità popolare” è potenzialmente in grado di coprire la fattispecie. Anzi, è già consolidato l’orientamento che propende per l’applicazione di queste norme nei confronti di chiunque abbia pubblicato fake news.

Invece, l’indagine appare più ostica in materia civile, dove sembrerebbe possibile ricorrere agli articoli 2598 e 2043 c.c., ma rispettando alcune condizioni.

Il punto di partenza per l’individuazione di una responsabilità giuridica in capo a chi divulga fake news è rappresentato dalla sentenza 31 Ottobre 2016, n. 22042 della Sezione I della Cassazione civile, che ha sancito l’illiceità della diffusione di informazioni false. Secondo l’orientamento della Suprema Corte, la pubblicazione di fake news rappresenta indubbiamente un illecito, mentre al contrario “La diffusione di informazioni che arrecano discredito e pregiudizio all’azienda dell’impresa concorrente rientra nel legittimo esercizio del diritto di critica e non costituisce atto di concorrenza sleale per denigrazione allorquando tali informazioni siano veritiere e non costituiscano l’occasione per formulare vere e proprie offese ed invettive nei confronti del concorrente”.

L’articolo 2598 c.c., il cui numero 3 individua gli atti di concorrenza sleale nella condotta di chi “si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai princìpi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”. Il ricorso a titoli scandalistici e a notizie inventate al solo scopo di aumentare la visibilità della propria pagina è uno strumento idoneo ad attirare l’attenzione degli utenti meno attenti, che di conseguenza inizieranno a informarsi tramite i siti meno affidabili e smetteranno di seguire quelli più “onesti”.

La seconda soluzione riguarda l’applicazione dell’articolo 2043 c.c., il quale prevede la risarcibilità del danno derivante da fatto illecito. La norma delinea anch’essa una fattispecie aperta, nella quale può rientrare qualsiasi fatto che contribuisca a causare un danno ingiusto.

  1. Risarcimento per le fake news: il danno da falsa informazione

In verità, gli studi in materia di responsabilità extracontrattuale hanno già delineato svariate volte le caratteristiche del danno da falsa informazione.

Infatti, la diffusione di notizie false è stata espressamente condannata dalla sentenza 18 Ottobre 1984, n. 5259 della Sezione I della Cassazione Civile. In questa pronuncia, la Suprema Corte ha fornito le regole del cosiddetto decalogo del giornalista. Si legge nella sentenza che l’informazione deve avere una sua utilità sociale, i fatti devono essere esposti e valutati in forma civile e la notizia deve essere vera. In riferimento al concetto di verità, la Corte ha ricordato che può trattarsi di verità oggettiva o putativa; tuttavia, nel secondo caso, è necessario che sia suffragata da un “serio e diligente lavoro di ricerca”. Le fake news non espongono alcuna verità putativa, ma solamente titoli ingannevoli o fatti inventati che stimolano la curiosità degli utenti nei confronti delle ultime tendenze sociali.

  1. Censura contro le fake news e democraticità della rete

Un’altra problematica interessante riguarda anche la cosiddetta “democraticità della rete”, cioè la possibilità da parte dei social network di limitare le interazioni con determinati profili o siti, rimuoverne i contenuti o orientare l’informazione degli utenti. Si pensi ad alcuni casi molto noti, come quello di Cambridge Analitica, oppure l’oscuramento da parte di Facebook della pagina del movimento delle “Sardine”, un movimento di attivismo politico italiano.

La policy aziendale dei social su cui si fonda la rimozione di contenuti ritenuti “illeciti” ha un impatto rilevantissimo sui diritti fondamentali e, come tale, costituisce esercizio di un vero e proprio potere.

In questo settore così delicato, le indicazioni del Garante italiano per i gestori dei social sono di prospettare soluzioni tecniche volte a segnalare all’utente, in base a criteri oggettivi (ad esempio la massività degli invii o il numero di condivisioni) contenuti potenzialmente inaffidabili, stimolando anche, così, il senso critico del pubblico.

Ecco alcuni link ai provvedimenti del Garante Privacy:

https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9195349

https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9518110

 

Irene del Gaudio

 

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